La cenere vulcanica non sarà più considerata un rifiuto. La novità compare nel decreto Semplificazioni del 31 maggio, all’interno del piano di rilancio e resilienza del governo. Un passo importante per tutti quei Comuni che, dopo le ripetute eruzioni dell’Etna dei mesi scorsi, hanno alzato il loro grido d’allarme davanti agli altissimi costi di conferimento in discarica della sabbia nera. Tanto da chiedere pure lo stato di emergenza.
La cenere, nel giro di poco tempo, ha più volte coperto tutti i Comuni alle pendici del vulcano, interessando particolarmente Giarre, Santa Venerina, Milo e Sant’Alfio. Tra febbraio e marzo, in alcune zone, è caduta una quantità talmente elevata da far raggiungere anche i sei chili di cenere a metro quadrato. La proposta di eliminare la sabbia dell’Etna dall’elenco dei rifiuti e poterla riutilizzare è inserita al comma 1 dell’articolo 35, in cui si legge che le ceneri vulcaniche possono essere «riutilizzate in sostituzione di materie prime all’interno di cicli produttivi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana».
L’idea, che è arrivata dai banchi del Senato del Movimento 5 stelle, ha visto tra i promotori il parlamentare giarrese Cristiano Anastasi. «Dopo avere assistito ai disagi a cui devono far fronte i Comuni etnei, mi sono confrontato con il Mite (Ministero della Transizione ecologica) e abbiamo cominciato a capire se c’erano i margini per intervenire sul codice dell’ambiente – afferma Anastasi a MeridioNews – Dopo alcuni studi dell’Università di Catania, ho deciso di rivolgermi ai docenti che in questi anni hanno approfondito l’argomento». Stando a quanto emerso finora, la cenere può essere facilmente mescolata ad altri materiali e ridurre i costi di lavoro.
Adesso, si attendono dei regolamenti per capire in che modo verrà stoccata la sabbia dai Comuni. «I costi di conferimento in discarica finora sono a carico dei cittadini – continua Anastasi – Stiamo iniziando a lavorare sui regolamenti. I Comuni dopo averla accumulata in dei punti di stoccaggio, dovranno pulirla e, infine, potranno immetterla sul mercato. Si cercherà di sfruttare la cenere a chilometro zero – aggiunge – perché i lunghi trasporti ridurrebbero la sostenibilità dell’iniziativa. L’obiettivo primario è quello di non intasare ulteriormente le discariche e abbattere i costi per le amministrazioni. E, soprattutto, non lasciarla per strada, dove può costituire un rischio per la salute dei cittadini». Anastasi si aspetta un intervento anche da parte della Regione e della protezione civile, affinché possano collaborare a regolamentare l’iniziativa.
«La cenere vulcanica è un materiale molto utile, visto che è possibile utilizzarla per produrre intonaci e malte isolanti. Dalle ricerche condotte – spiega a MeridioNews Paolo Roccaro, docente di Ingegneria di Unict che è tra i promotori del progetto Reucet, Recupero e utilizzo delle ceneri vulcaniche etnee – abbiamo capito che ha delle caratteristiche diverse dall’azolo (un particolare tipo di sabbia grigio-nera tipico dell’area dell’Etna, ndr), che si presta molto bene come sabbia per le sue caratteristiche meccaniche. La cenere, grazie alla sua porosità, può essere utilizzata sui laterizi come il cotto siciliano perché ne migliora la lavorabilità. Inoltre, è possibile usarla nei sottofondi stradali: in questo caso, la cenere deve essere stabilizzata con l’aggiunta del cemento in modo da renderla idonea a sopportare i carichi – aggiunge Roccaro – Attraverso dei processi, la sabbia vulcanica si può anche trasformare in materiale che può essere sfruttato per il disinquinamento della acque e dell’aria».
Sono diversi gli esperimenti fatti negli ultimi due anni, dove «abbiamo dimostrato che può essere utilizzata nell’ambito dell’ingegneria civile e ambientale, con la produzione di malte, intonaci e mattonelle – osserva Roccaro – Si può anche utilizzare per il recupero di aree degradate come le ex cave. Risultati ottenuti grazie a un rapporto interdisciplinare, che ha visto la collaborazione di diversi docenti e dei Comuni di Giarre, Riposto e Santa Venerina, che ci hanno fornito dei dati su cui lavorare. Infine, i risultati ottenuti sono stati divulgati ai soggetti interessati. Un grande passo in avanti è stato fatto ma adesso occorrono le norme attuative». Per la facoltà di Agraria, è stato il professore Salvatore Luciano Cosentino a condurre gli studi sui possibili usi della sabbia dell’Etna in ambito agricolo. «Può essere efficace come correttivo in quei terreni eccessivamente argillosi – specifica l’esperto – Quando è caduta ha fatto parecchi danni alle piante verdi, ma immessa nel terreno non fa male. Molte piantagioni del nostro territorio – sottolinea – nascono già su terreni lavici. Abbiamo iniziato a fare degli studi sulle coltivazioni della vite e delle patate e rispondono bene».
Ma tra i pareri positivi non mancano le perplessità. Come quelle avanzate da Corrado Vigo. Per l’agronomo e consulente tecnico d’ufficio del tribunale di Catania, la novità contenuta nel piano di rilancio è sicuramente positiva. Tuttavia, secondo Vigo, per regolare i terreni argillosi sarebbe necessario tanto materiale. «Vedremo quanti Comuni o privati la utilizzeranno – fa notare – Se ho un terreno argilloso devo innalzare il terreno di almeno 70 centimetri, mescolare il tutto e poi coltivare: quanto mi costa? Per i piccoli appezzamenti di terreno sarebbe eccessivo. Significato diverso, invece – continua – per i vivai dove in molti mescolano la sabbia al terriccio. Parliamo di coltivazioni più estese dove si potrebbe mescolare col terriccio e in molti già lo fanno».
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