Inchiesta Zeta, su Facebook la lettera del neomelodico «Un torto di magistrati e giudici mi ha rovinato la vita»

«Questa lettera la dedico prima di tutto ai miei fan e poi a chi mi ha distrutto la vita, a partire dalla procura di Catania che ha fatto questo torto a me che nella mia vita ho sempre lavorato». Sono le parole con cui Filippo Zuccaro, meglio noto per il suo nome da artista Andrea Zeta, apre una missiva che in queste ore è stata pubblicata sulla sua pagina Facebook. L’uomo, celebre per essere un cantante neomelodico con un notevole seguito, è finito in carcere il 20 marzo scorso. Accusato di mafia insieme al fratello Rosario e al padre Maurizio, quest’ultimo esponente di vertice della famiglia di Cosa nostra Santapaola-Ercolano

«Mi stanno uccidendo – continua nella lettera – non posso accettare che per una frase di tre anni fa mi stanno distruggendo la vita, non è giusto giocare con la mia vita così». Riferimenti ad alcuni passaggi dell’inchiesta Zeta in cui, secondo l’ipotesi della procura di Catania, il boss Maurizio Zuccaro avrebbe continuato a comandare, nonostante si trovasse dietro le sbarre. Così, tra le conversazioni incriminate ne sono finite alcune risalenti alla fine del 2016, quando il cantante neomelodico andò in più occasioni a colloquio con il padre. Dietro quei faccia a faccia intercettati dalle cimici della polizia etnea, secondo i magistrati, Andrea Zeta avrebbe ricevuto «le direttive sulla gestione concreta degli affari del clan», si legge negli atti dell’inchiesta.

«Ragazzi – annuncia rivolgendosi ai suoi fan – non mi aspettate perché hanno rifiutato quella piccola speranza che avevo per uscire da qua e passerà del tempo. Mi hanno arrestato – continua – e mi stanno definendo un mafioso perché nel 2016 andai a trovare mio papà in carcere e ingenuamente dissi a mio padre di aver allontanato una persona che non mi era tanto simpatica e mi dava fastidio la sua conoscenza in generale». Lo spartito secondo i magistrati racconta una storia in parte diversa. Il 26 ottobre 2016 il neomelodico avrebbe raccontato al boss l’incapacità del fratello Rosario «di gestire i rapporti con gli altri clan». Chiaro riferimento all’affare della sicurezza all’interno della discoteca Vecchia dogana. In cui si era messo di traverso il boss Massimiliano Salvo, del clan Cappello-Bonaccorsi. «Questo voleva stare solo – raccontava il cantante al padre – hanno fatto accordi, dice». Un passaggio riportato nell’ordinanza di custodia cautelare in cui viene trascritto anche il nome di Graziella Acciarito, moglie del boss. Anche lei finita ai domiciliari nell’inchiesta Zeta ma poi scarcerata dopo l’interrogatorio di garanzia su decisione del giudice per le indagini preliminari. Per il figlio, invece, il tribunale del Riesame ha confermato la custodia dietro le sbarre nel penitenziario di Bicocca.

«Ragazzi – conclude – non so come finirà questo incubo, so solo che ha rovinato la mia vita, non so quando tornerò a casa. Per tutto questo non posso dire di stare bene sopratutto quando sai di non aver fatto nulla. Mi hanno dato il reato di associazione mafiosa dove si rischiano tanti anni di carcere per una cavolata detta tre anni fa». In segno di solidarietà nei confronti del cantante il suo club ha lanciato l’hashtag #IoStoconAndreaZeta. Parole stampate anche in alcune magliette nere in cui compaiono due mani che formano un cuore


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