Il tramonto dell’Occidente, torna Mario Venuti «Catania ha ancora voglia di vivere e uscire»

Più che emozionato, si definisce «eccitato e incuriosito». Vuole sapere cosa ne penserà la gente, visto che già i critici si sono espressi e l’hanno definito, insieme, un disco godibile e impegnato. Il tramonto dell’Occidente, il nuovo album di Mario Venuti, è arrivato stamattina nei negozi di musica, anticipato dal singolo Ventre della città. Undici tracce, vent’anni di carriera da solista e un obiettivo: «Rischiare, essere un po’ più cattivo: al giorno d’oggi il 90 per cento delle canzoni che si pubblicano sono canzoni d’amore, in questo mio lavoro non ce ne sono». C’è, però, e forte anche, l’influenza di Francesco Bianconi, cantautore e leader dei Baustelle, che Il tramonto dell’Occidente ha contribuito a scriverlo, assieme a Pippo Rinaldi, in arte Kaballà. «Io e Bianconi ci siamo incontrati a Milano, che è un po’ la città delle opportunità – dice Venuti – Ma Catania è la mia culla, il posto in cui mi sento sicuro, il luogo che mi dà conforto. I siciliani o se ne vanno presto o non se ne vanno mai più».

Con le collaborazioni di Franco Battiato, Giusy Ferreri, Alice e Nicolò Carnesi – oltre che dei già citati Bianconi e Kaballࠖ quello appena uscito è un prodotto corale: «Non è un album che parla di me, è un album che parla di noi – racconta il cantautore – Gli ospiti ribadiscono questa grande apertura al mondo e alla società». Il tramonto dell’Occidente non è solo la crisi economica, «è una generale crisi di valori, che non possono essere cancellati e basta, devono essere proprio sostituiti. Non è detto che il declino debba solo nuocere, la prospettiva può essere rivoltata, la forza di reagire può essere un lato positivo». E tutto l’album ruota attorno al concetto di rinascita. Un percorso chiarissimo dalla prima traccia, Il tramonto, all’ultima, L’alba. «In mezzo c’è la notte, cioè il corpo del disco, con la sua struttura analitica e di ricerca», spiega l’artista. Un concept album, insomma, che sviluppa un argomento pezzo dopo pezzo: «Anche se in modo più moderno di quanto accadeva negli anni Settanta, con qualche piccola divagazione in mezzo. È un album nel suo complesso, non è solo una raccolta di canzoni, non ci sono riempitivi».

Tra le tracce, spunta anche un brano interamente in dialetto catanese, cantato con Francesco Bianconi e Kaballà: «L’idea è stata sua – ride Mario Venuti – Aveva già lavorato con i dialetti locali e voleva provare anche il siciliano». Il risultato è Passau a cannalora, «un brano che potrebbe essere scaturito dall’ascolto della gente per la strada, nel corso della festa di Sant’Agata». «Aituzza, bedda Aituzza, putissi fari oru di tutta ‘sta munnizza», cantano insieme, nel ritornello, i tre cantanti. «Forse avrei voluto più ospiti, ma rischiavo di complicare un po’ la gestione del disco. Rimane il fatto che il risultato è talmente variegato che mi incuriosisce sapere come verrà accolto». Tra tutte le canzoni, ce n’è una alla quale Venuti è più affezionato. Un pezzo doppiamente impegnativo, nato per essere eseguito assieme a un altro catanese d’eccezione, Franco Battiato: «I capolavori di Beethoven è una canzone potente, che sviluppa il concetto che dicevo prima, cioè che nel buio c’è il senso della luce».

La ricerca della bellezza in un momento in cui manca tutto il resto è quello che, secondo l’artista nostrano, sta capitando alla città di Catania: «Se rinascerà non sarà certo merito dell’amministrazione, che mi sembra piuttosto confusa oltre che squattrinata – sostiene – È la gente che crea le cose belle, basta pensare ai ragazzi di Gammazita e a quello che sono riusciti a fare, senza aiuto finanziario od organizzativo, con il festival Ursino buskers». Una cosa popolare, per tutti: «Che senso ha sforzarsi di fare eventi come quello affidato a Franco Battiato, a cui pure sono andato con piacere, se poi sono elitari? Al di là di quanto costano o non costano, non sono una cosa per tutti». E conclude: «Nonostante non ci sia una lira in giro, Catania ha voglia di vivere e di uscire. Sembra assurdo, ma Catania ha ancora voglia di suonare».

[Foto di Amleto Di Leo]


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Undici tracce, tante collaborazioni, vent'anni di carriera da solista e un brano in dialetto catanese cantato con Francesco Bianconi dei Baustelle e Kaballà. Il nuovo disco del cantautore etneo è una sorta di concept album «che racconta una crisi di valori prima che economica». In cui, però, s'intravede una punta di ottimismo: «Nel buio c'è il senso della luce». E aggiunge: «Se la città rinascerà, non sarà certo merito dell'amministrazione»

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