Il terrorismo e la Cia: osservazioni sulla tortura

“L’ inchiesta tratta circa venti casi di veri e propri rapimenti extragiudiziari di presunti terroristi sparsi in tutto il mondo, indagati spesso sulla base di pochissime e incerte prove, e consegnati alle agenzie di servizi segreti dei cosiddetti «Paesi canale» come Cina, Pakistan, Egitto e Sira a cui viene delegato il cosiddetto lavoro sporco”. Così Claudio Fava, giornalista e parlamentare europeo, ha presentato venerdì scorso, nei locali del Medialab di piazza Dante, il suo libro Quei bravi ragazzi. Un libro che racconta del “trattamento speciale” che viene riservato agli imputati per atti terroristici che spesso “sotto atroci e insostenibili torture, vengono indotti alla confessione, colpevoli o innocenti che siano”.
 

Il libro di Fava nasce dal suo lavoro alla guida della Commissione d’inchiesta voluta dal Parlamento Europeo, per far luce sulle trame e i misteri che si celano dietro la caccia ai terroristi islamici dopo l’11 settembre. Se tutti noi siamo abituati a pensare a storie di spie, generali, ministri, carceri segrete e finti terroristi unicamente come perfette trame di kolossal cinematografici, i racconti e le testimonianze raccolte nel libro-inchiesta di Fava dimostrano come le famose “leggende metropolitane” sui crimini e le illegalità commessi dai servizi segreti non siano poi tanto leggendarie; si tratta di realtà concrete e molto più aberranti di quanto possiamo immaginare.
 
All’ incontro erano presenti diversi studenti universitari e la classe seconda B del liceo Classico “Spedalieri” di Catania, che ha contribuito ad animare la presentazione con diverse e incuriosite domande. “Questo libro – ha detto ancora l’autore – oltre a svelare i pesanti intrighi giuridico-politici degli ultimi sei anni, è la testimonianza di quanto sia difficile raccontare il corredo emotivo che investe queste storie, il disagio delle vittime e l’imbarazzo dei governi. Anche coloro che si sono macchiati dei peggiori reati e sono terroristi reoconfessi non possono essere privati del diritto ad un regolare processo e della giusta tutela legislativa. È inammissibile che si preferisca optare per la cosiddetta “ legge del taglione” in una società civile come la nostra”.
 
Pare infatti che l’amministrazione americana giustifichi l’operato della CIA e l’aver fatto carta straccia dei precetti sull’uguaglianza dei diritti umani, sanciti dalla convenzione di Ginevra, con l’ emergenza derivata dal dover combattere un nemico invisibile, non identificabile con uno Stato, che è il gruppo dei terroristi sparsi per il mondo. Ecco quindi che l’autore si sofferma a sottolineare un punto importante dell’inchiesta, che analizza come il realismo politico abbia in un certo senso messo da parte il buon senso etico in nome del più alto valore della ragion di stato.
 
Dal libro-inchiesta di Fava si evince però che, innocenti o colpevoli che siano coloro che la subiscono, la tortura, oltre ad essere un abominio, risulta uno strumento inutile sia dal punto di vista preventivo che informativo sul terrorismo internazionale. Il più delle volte le informazioni così ottenute sono dichiarazioni falsate di innocenti che, sotto tortura, si trovano costretti a confessare i più atroci misfatti pur essendone assolutamente estranei.
 
«Quei bravi ragazzi» sono tutti coloro che, sulla scorta di talune brutali scorciatoie, hanno ritenuto che la spietata caccia al nemico e la sicurezza internazionale dovessero prevalere sui limiti che la legalità, i diritti umani e l’etica ci impongono.
 
Alla domanda di un giovane studente su come abbiano reagito gli stati alleati americani alla sconvolgente realtà uscita fuori da questa inchiesta Fava risponde: “È vero che su certe vicende vige sempre il segreto di Stato, ma non bisogna illudersi che questi fatti siano solo un torbido segreto Americano. Non c’è da stupirsi che quei bravi ragazzi, tutti i governi alleati, fossero a conoscenza delle subdole trame interne alla CIA e abbiano scelto chi di assecondarle, chi di tacere omertosamente”.
 
Bisogna dedurre quindi che nessuno ne era all’ oscuro, tutti sapevano ma fingevano di ignorare, nessuno voleva esserne direttamente coinvolto ed è per questo che tutto ciò avveniva lontano, in paesi distanti dalla nostra comune e rassicurante realtà.
 
Riguardo alle difficoltà incontrate nel lavoro d’ inchiesta, Fava ha osservato: “I risultati ottenuti da questo lavoro sono stati possibili solo grazie al coraggio di alcuni giornalisti che, più di altri, hanno deciso di aprire le porte ad un’indagine internazionale che di certo si sapeva avrebbe smosso oscure e pericolose trame politiche… Non è un caso che molti di loro siano stati pedinati ed indagati dalla CIA e che più di una volta abbiano subito tentativi di corruzione al fine di sotterrare le prove di un’inchiesta forse troppo scomoda”.
 
Se molti sono stati i casi in cui si è cercato di imbavagliare tutti coloro abbiano collaborato alla stesura del libro-inchiesta, Claudio Fava ci tiene a chiarire come questo non sia il risultato di un attacco ad una precisa parte politica: l’unico intento del libro è affermare e dar voce a questo bisogno di chiarezza e verità, che negli ultimi anni, sono venute a mancare.


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«Quei bravi ragazzi», l’ultima inchiesta di Claudio Fava, denuncia i metodi illegali di indagine spesso utilizzati dopo l’11 settembre. Metodi che comprendono anche il rapimento e l'estorsione di confessioni. E che – ha osservato l’autore presentando il libro al Medialab – risultano anche inefficaci

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