Il siriano col finto passaporto Isis detenuto in Calabria «A Rossano un luogo macabro riservato ai terroristi»

«Per l’ora d’aria c’è un corridoio lungo 12 metri e largo tre con muri alti dieci metri, dove non si vede bene nemmeno il cielo perché c’è una rete di protezione». Così Giuseppe Candido – docente e giornalista, esponente calabrese del partito Radicale – descrive quella che è stata definita «la Guantanamo italiana» a Rossano Calabro, in provincia di Cosenza. Dove, insieme a mafiosi con sentenza definitiva, «vengono ammassati» decine di detenuti speciali. Si tratta di cittadini stranieri, per lo più arabi, arrivati in Italia e accusati di terrorismo. Tra di loro, ci dovrebbe essere anche Mourad El Ghazzaouiil 21enne siriano arrestato a Pozzalo nel dicembre 2015 e ritenuto un affiliato dell’Isis. Dopo un periodo di carcerazione a Bicocca, a Catania, di lui si erano perse le tracce. Fino alla pubblicazione su testate locali e nazionali – dopo gli attentati terroristici a Bruxelles – del suo presunto passaporto dello stato islamicoUna prova unica nel suo genere, secondo gli investigatori, ma che MeridioNews ha svelato essere una bufala.

È un luogo macabro in cui non si può dire nemmeno di essere vivi

La sbandierata rivelazione non è passata inosservata alla procura di Catania, che indaga sul caso. I ritagli dei quotidiani La Repubblica La Sicilia sono finiti anche sul tavolo del procuratore capo reggente Michelangelo Patanè. «Mi occupo anche di terrorismo e mi tengo aggiornato», spiega. Se gli si fa notare che quanto riportato sui giornali non è affatto veritiero, così come non lo sono alcune prove usate contro il 21enne – dal passaporto ad alcuni fotomontaggi -, Patanè allarga le braccia: «Può capitare che si sia in galera anche se si è innocenti. Bisogna aspettare la fine delle indagini». La legge, d’altronde, prevede alcuni strumenti come il ricorso al tribunale del Riesame. Opzione che però, nel caso del presunto terrorista, non risulta essere stata adottata. E i termini sono già scaduti da un pezzo. Impossibile saperne di più: non si conosce il nome del suo legale, un avvocato calabrese nominato di fiducia, nonostante le difficoltà linguistiche del ragazzo. E che non è intervenuto nel dibattito pubblico, nonostante l’eco mediatica della vicenda.

Del presunto jihadista si sa poco. È arrivato con un barcone a Pozzallo il 4 dicembre 2015, insieme al padre, alla madre e a quella che sembra essere la sua fidanzata. Nei registri del centro di prima accoglienza del Ragusano risultano infatti due registrazioni a nome El Ghazzaoui, gli uomini della famiglia. Dopo viene arrestato e trasferito nel carcere di Bicocca. Così come i familiari spostati fuori dalla Sicilia. Il 4 gennaio scorso i Radicali effettuano una visita di controllo all’interno della casa circondariale ma, quando chiedono informazioni sul giovane, apprendono che è stato trasferito il giorno prima. Non si hanno più notizie per mesi fino a quando si scopre della detenzione in Calabria, presumibilmente nella struttura di Rossano Calabro. 

A Rossano c’è un braccio per gli stranieri accusati di terrorismo

«Ci sono 50 detenuti stranieri accusati di terrorismo che non vengono mischiati con gli altri – racconta l’attivista Giuseppe Candido che a Pasqua ha visitato la struttura detentiva calabrese -. A loro è dedicato un braccio particolare, la polizia penitenziaria ci ha spiegato che non capiscono quello che i detenuti si dicono e i contenuti della preghiera del venerdì». Organizzata all’interno di una sala allestita appositamente con «un imam che mi risulta essere uno di loro». A Rossano manca anche la figura esterna di un mediatore e l’unico che si occupa di tradurre «è un detenuto arabo che conosce un po’ di italiano». I carcerati lamentano di non riuscire a comunicare nemmeno con le famiglie. «È un luogo macabro – conclude Candido -, in cui non si può dire nemmeno di essere vivi».


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Il 21enne arrestato a Pozzallo e accusato, tra i dubbi, di affiliazione al Califfato nero potrebbe trovarsi nella «Guantanamo italiana». Un carcere, secondo l'attivista Giuseppe Candido, senza un mediatore. La procura etnea dice di aspettare la chiusura delle indagini e spiega: «Può capitare di stare in galera da innocenti»

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