Una sorta di organizzazione piramidale con bande specializzate nei furti d’auto, e non solo, con dei precisi quartieri di competenza. Ricettatori, con base operativa tra Palagonia, Francofonte, Riesi, Scordia e Acireale, e in mezzo i «finti amici» e gli intermediari, come Antonino Santonocito e Massimo Ferrera, a cui bisognava rivolgersi, secondo gli inquirenti, quando la propria macchina veniva rubata. Tutti si sarebbero dovuti però attenere a una semplice regola: quella dei tre giorni. Ossia bisognava attendere almeno 72 ore prima di potere disporre dei mezzi rubati così da assicurarsi che le macchine non fossero riconducibili a amici o parenti di soggetti dall’elevata caratura criminale. In un’intercettazione, risalente al 2020, Salvatore Giuffrida riferiva, per citare un caso, che la mancata restituzione di un mezzo avrebbe potuto comportare gravi ritorsioni da parte di alcune persone, residenti in provincia di Catania, ma collegate alla famiglia mafiosa di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano. Sono solo alcuni dei particolari contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione Carback condotta dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dai sostituti Antonella Barrera e Andrea Norzi.
Per mettere a segno i furti – 54 quelli ricostruiti con alcune vittime finite indagate per favoreggiamento – sarebbe stato utilizzato anche un metodo etichettato come quello del «bottone», che si basava sull’utilizzo di centraline non codificate. Aperta la portiera e acceso il quadro con delle chiavi apposite veniva avviato il motore tramite un apparecchio elettronico da collegare nella presa Obs, una sorta di interfaccia comunemente usata dai meccanici per leggere i codici di errore dei veicoli. Parallelo al mercato delle auto rubate, c’era però quello dei fari delle vetture, e in particolare dei modelli 500 della Fiat. In questo settore si sarebbe specializzato Salvatore Alberto Tropea. Durante un dialogo intercettato, l’uomo racconta di avere guadagnato parecchi soldi. Lo stesso che, nelle fasi di smontaggio, non richiede grandi competenze ma solo l’accortezza di mantenere l’integrità del fanale. Sul mercato nero una coppia di fari anteriori sarebbe stata venduta a 400 euro, mentre per quelli posteriori bisognava arrivare a 550 euro. Uno dei più fidati collaboratori di Tropea sarebbe stato, come emerge dalle carte dell’inchiesta, Marco Puglia, soprannominato proprio 500. Il gruppo sarebbe entrato in azione di notte, dopo le 4.
La ricettazione dei fari sarebbe spettata invece all’indagato Jonhatal Musumeci. O con il passaparola a parenti o amici o tramite degli annunci pubblicati sul web, tramite il portale Subito.it, o attraverso il market di Facebook. Se la vendita andava a buon fine, il guadagno era di circa 700 euro. Chi acquistava otteneva un risparmio notevole, ma illecito, rispetto ai 3000 euro necessari attraverso i canali legali. Per i più esperti sarebbe stato possibile anche capire la tipologia di furto che c’era dietro i gruppi ottici. Se il supporto inferiore del faro era rotto erano stati asportati su strada, mentre se era integro e comprensivo di centralina erano stati oggetto di riciclaggio.
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