C’era un vero e proprio protocollo per le ordinazioni della cocaina da servire ai clienti della Palermo bene da parte dello chef Mario Di Ferro. Famoso tra i fornelli non solo per la gestione di prestigiosi locali, ma anche per essere stato l’unico ad avere cucinato per due papi: Benedetto XVI e Francesco. Nel caso […]
Gli ordini di cocaina come giorni di vacanze e bottiglie di vino. Miccichè allo chef: «Mi puoi mandare da mangiare?»
C’era un vero e proprio protocollo per le ordinazioni della cocaina da servire ai clienti della Palermo bene da parte dello chef Mario Di Ferro. Famoso tra i fornelli non solo per la gestione di prestigiosi locali, ma anche per essere stato l’unico ad avere cucinato per due papi: Benedetto XVI e Francesco. Nel caso scoppiato oggi a Palermo, però, l’ingrediente principale è la polvere bianca. Cocaina ordinata dai clienti al telefono, facendo riferimento a bottiglie di vino o tavoli da riservare al ristorante ricavato all’interno di villa Zito, lungo viale Libertà, a Palermo. C’era poi chi, come l’ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gianfranco Miccichè, per indicare le dosi da acquistare avrebbe usato i giorni da trascorrere fuori Palermo. Miccichè, però, dal capoluogo siciliano non si allontanava. In compenso è emerso un via vai continuo, compreso l’utilizzo delle auto blu per andare a comprare la droga. Nell’ordinanza – in cui Miccichè non risulta indagato (leggi la replica) – sono sei le persone destinatarie di misura cautelare su richiesta della procura.
Un’inchiesta nata quasi per caso da un’intercettazione telefonica, inserita in un altro procedimento, in cui lo chef Di Ferro veniva contattato da un esponente di spicco di Cosa nostra per un faccia a faccia riservato. Così sarebbe emersa quella che viene definita dagli inquirenti «una frenetica attività di spaccio di cocaina nei confronti di una clientela riservata». Per il proprio business parallelo, lo chef avrebbe beneficiato delle forniture di stupefacenti da parte di due pusher, indicati nelle intercettazioni come «rappresentanti»: Gioacchino e Salvatore Salamone. A collaborare sarebbero stati anche alcuni dipendenti del locale: Pietro Accetta, Gaetano Di Vara e Giuseppe Menga.
«Mi puoi mandare da mangiare?». Con queste parole, intercettate al telefono, l’ex esponente di Forza Italia il 2 dicembre 2022 avrebbe chiesto all’amico chef delle dosi di cocaina a domicilio. Il ristoratore si mette in contatto con Gioacchino Salamone, invitandolo ad «avvicinare» a villa Zito. Un passaggio necessario, secondo la ricostruzione degli inquirenti, per affidare a un dipendente del ristorante la dose di cocaina da recapitare a Micciché in piazza Politeama. Quattro giorni dopo, altre intercettazioni che rimandano a nuovi ordini di droga da parte del politico: «Io parto cinque giorni», diceva allo chef, che attivava la solita prassi. «Verso le quattro devi avvicinare perché, minchia, siamo assai. Siamo tredici», diceva al pusher. Circa 40 minuti dopo gli agenti immortalano l’arrivo di Micciché, sempre in auto blu con autista, a casa di Di Ferro. Pochi istanti e il politico si allontana. Copione identico a pochi giorni da Capodanno, quando è lo chef a chiedere a Miccichè: «Sono dieci giorni all’incirca, giusto?». Solita telefonata e, poco dopo, l’arrivo di Miccichè a bordo del mezzo istituzionale. Stessa macchina utilizzata in un’altra occasione, ma con il solo autista che avrebbe fatto da fattorino per l’ex presidente. Uno scenario che rimanda a quanto messo nero su bianco in una vecchia inchiesta della procura di Roma. Correva l’anno 2002, Miccichè è viceministro alle Finanze e viene indicato come il destinatario di una consegna di cocaina da parte di un giovane pusher palermitano. Circostanza che però Micciché ha sempre smentito.
Tra i clienti dello chef c’era anche Gaetano Migliorisi, capo della segreteria (poi sospeso, ndr) del presidente dell’Ars Gaetano Galvagno. Il funzionario viene intercettato il 4 aprile 2023 mentre chiede a Di Ferro di riservargli un tavolo per tre persone al ristorante. Un messaggio in codice, secondo gli inquirenti, per l’acquisto di 3 grammi di cocaina dietro il pagamento di 300 euro. Qualche mese prima, come riportato nelle carte dell’inchiesta, Migliorisi invece ordina al telefono «quattro bottiglie di vino». Le forniture non si sarebbero interrotte nemmeno quando lo chef era indisponibile. Il 9 febbraio scorso l’influenza lo aveva messo ko costringendolo a casa, ma la richiesta di Migliorisi veniva comunque esaudita attraverso la presunta intermediazione di Accetta: «Stasera devi chiamare gli amici, perché sono tre a cena. Il prezzo quello solito, paga quello che mangia», spiegava lo chef. Le telecamere quella sera immortalano l’arrivo di Migliorisi al ristorante. Appena tre minuti e il funzionario si allontana a bordo di una macchina blu con lampeggiante sul tettuccio.