Dominique Sanda, musa d’altri tempi

E’ stata definita la musa di Robert Bresson, Dominique Sanda, che nel ‘69 con il film “Così bella, così dolce” da modella viene lanciata nel mondo del cinema. Fin da giovanissima è fomentatrice di  ribellioni e contestazioni, da donna matura si ritiene più calma e riflessiva, ma sempre una lottatrice. A Taormina – che lei definisce “un luogo coccolato dagli Déi” – per ritirare il premio “Taormina Arte Award” in onore dei suoi primi 40anni di cinema: indossa un redingote di seta, ombrellino parasole, chignon appuntato con piccole orchidee, stile dama d’altri tempi, il tutto accompagnato da una sensualissima voce e da una grazia impalpabile.

Ma che fine ha fatto Dominique la ribelle? “Avevo 15 anni, quando i miei mi obbligarono a sposarmi. Poi volevano facessi teatro, ma ero timida. Alla fine ho deciso io della mia vita, mi sembra normale, chiunque si sarebbe ribellata: inizialmente per motivi familiari, poi per problematiche universali”. Soltanto nel ‘93 ha deciso di darsi al teatro perché aveva già fatto abbastanza cinema e le andava di vivere una nuova esperienza, racconta ai fan. “La vita è un’evoluzione continua, a tratti contraddistinta da gesti di ribellione, ma il bello sta nel saper miscelare il tutto. Adesso, per esempio, coltivo l’orto, faccio il pane e ho vari progetti in cantiere. Chi l’avrebbe mai immaginato anni fa?”.

Questa voglia di sperimentare e di non accettare passivamente ciò che ci viene imposto è sicuramente simbolo di forza: tema parecchio affrontato quest’anno al Festival tra film, convegni e tavole rotonde. Che ne pensa? “Credo che sotto un’apparente armatura ci sia sempre della fragilità: le donne e soprattutto le attrici in realtà sono esseri fragili, non forti come fanno credere”.

Ama fuggire dai problemi, soprattutto  familiari, infatti incontra solo quando può il figlio 37enne, Yann – cresciuto con lei sola – e i due nipotini. E ama anche “fuggire”, dice, da un continente all’altro andando però sempre dove c’è il mare, “forse perché me lo sento nelle vene: mio nonno materno era un capitano di Marina che ha doppiato sette volte Capo Horn”.

E infatti questa ninfa del mare che ha ispirato anche Bertolucci, Visconti, Bolognini e tanti altri, è ora una sessantenne affascinante che vive a Buenos Aires (nel quartiere “Palermo”) con il filosofo romeno e docente universitario Nicolae Cutzarida, dal 2000 suo terzo marito; è approdata in Argentina, che le ricorda tanto l’Italia, dopo che un regista vedendola a teatro recitare ne “La donna del mare” di Ibsen le ha proposto di allestire uno spettacolo sui “desaparecidos”. Lavora anche nel cinema uruguayano guardando a quello europeo con nostalgia, “E pensare che prima di incontrare Bresson a 16 anni e Bertolucci a 18, volevo fare altro nella vita. Da allora ho lavorato tanto per diventare una grande attrice e per fare dei film che arricchissero lo spettatore.  L’italia devo dire che mi ha aiutata in questo e sono felice che ne sia nato un grande amore reciproco”.

Sembra rimasta ad altri tempi, senza che gli anni l’abbiano scalfita. Invece c’è chi, come Jessica Lange, lamenta una sorta di discriminazione verso le attrici ultra quarantenni. Lei lo ha notato un atteggiamento del genere? “Per nulla. Apprezzo Jessica e i suoi lavori passati, ma quest’ultimo, “Grey Gardens”, mi ha lasciata un po’ perplessa perché non ho capito bene il senso che voleva dare il regista. Poi mi è dispiaciuto vedere la mia collega imbruttita, la bellezza esiste a tutte le età e secondo me va protetta con tutte le forze. Io non voglio farmi schiacciare verso il basso né semplicemente lavorare, voglio fare qualcosa che mi valorizzi e che piaccia al mio pubblico”.


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