Crocetta riparte dall’Autonomia e spiazza tutti: soprattutto Pd e Udc

Che succede nel mondo politico siciliano a tre settimane dalla vittoria di Rosario Crocetta alle elezioni regionali? Tanti gli elementi che emergono giorno dopo giorno. Dichiarazioni. Prese di posizione. Alleanze. Rotture soft (ma pur sempre rotture). Tutti elementi che lasciano ipotizzare una certa indipendenza – di giudizio e di azione politica – del nuovo presidente della Regione dalla politica tradizionale.

Il primo elemento che salta agli occhi è la diversità di vedute, ogni giorno più marcata, tra Crocetta e i vertici del Pd dell’Isola. Parlano i fatti. In queste ore il segretario regionale di questo Partito, Giuseppe Lupo, ha convocato per mercoledì prossimo i parlamentari. E ha fissato la convocazione della direzione regionale del suo Partito, che dovrebbe tenersi subito dopo le primarie dello stesso Pd.

Lupo avrebbe chiesto al presidente Crocetta di rinviare la nomina della giunta a dopo la celebrazione delle primarie. Richiesta politicamente legittima, se Crocetta facesse parte del Pd. Ma il presidente della Regione – così abbiamo letto su tutti i giornali (forse rispondendo indirettamente a Lupo?) – ha fatto sapere che la prossima settimana varerà il suo Governo.

In queste ore assistiamo a uno dei tanti paradossi della politica siciliana. L’assenza di una maggioranza a Sala d’Ercole pronta a sostenerlo dovrebbe indebolire il nuovo presidente della Regione. Invece il fatto di non dovere contrattare alcunché con le forze politiche sta rafforzando il ruolo di Crocetta. Come se l’assenza di una maggioranza in Aula conti, alla fine, poco o nulla: cosa in parte vera, sia perché in questa fase, nessun parlamentare appena eletto ha voglia di tornare a casa, sia perché – come hanno dimostrato i quattro anni di Governo di Raffaele Lombardo – le attuali leggi che regolano in Sicilia i rapporti tra potere esecutivo e potere legislativo non danno al secondo strumenti per condizionare l’attività dello stesso Governo.

Come i nostri lettori ricorderanno, qualche giorno dopo le elezioni del 28 ottobre abbiamo ipotizzato la nascita di una formazione politica attorno a Crocetta. Oggi il nuovo ‘Partito di Crocetta’ è argomento di tutti i giornali.

La nostra ipotesi veniva fuori da un semplice ragionamento politico ed elettorale. Se la lista Crocetta, nel quadro di una competizione elettorale che ha visto uno spaventoso aumento dell’astensionismo, ha superato il 7 per cento (oltre 170 mila voti), deve essere successo, per forza di cose, qualcosa a ‘sinistra’. Cioè nel Pd. E, infatti, tutti i voti presi dalla lista Crocetta sono, grosso modo, voti persi dal Pd (che, come ha rimarcato Matteo Renzi nella sua recente visita in Sicilia, ha perso circa 200 mila voti: “Veramente troppi”, ha detto il Sindaco di Firenze, quasi a mettere in guardia Bersani che, forse con troppa precipitazione, ha parlato di “vittoria” del suo Partito in Sicilia).

Ora, nessun Partito si ‘svena’ in questo modo. Tanto meno il Pd. Nemmeno se c’è una forte alleanza politica. Ciò significa che la lista Crocetta ha preso questi voti sulla base di una proposta programmatica che ha convinto una buona fetta di elettori di sinistra. Normale, logico che, a questo punto – forte anche della presidenza della Regione – Crocetta provi a stabilizzare in una nuova formazione politica il seguito elettorale che ha ‘incassato’ lo scorso 28 ottobre.

La verità è che Crocetta sta spiazzando tutti. Il Pd non è mai stato un Partito autonomista. I due Partiti dalla fusione dei quali è nato, per l’appunto, il Pd – i Democratici di sinistra e la Margherita – non sono mai stati autonomisti. I comunisti sono sempre stati ‘centralisti’, non tanto perché prendevano ordini da Roma, ma in virtù del ‘Centralismo democratico.

I democristiani prendevano ordini solo da Piazza del Gesù (la ‘mitica sede romana della Dc) e per la loro obbedienza, spesso cieca, alle segreterie romane possono essere considerati, senza offesa, gli inventori dell’ ‘ascarismo’ (lo aveva perfettamente capito Giuseppe Alessi, democristiano ma persona seria, che alla fine degli anni ’50 del secolo passato, dopo la sentenza ‘banditesca’ della Corte Costituzionale che assorbiva abusivamente le competenze dell’Alta Corte per la Sicilia, avrebbe voluto fondare nella nostra Isola una sorta di Csu siciliana, sul modello del Partito autonomista bavarese: operazione ‘stoppata’ dalla stessa Dc e, forse, da qualche altra ‘forza’ siciliana non esattamente politica). (a destra, Giuseppe Alessi, primo presidente della Regine siciliana) 

Ora, come abbiamo scritto stasera,Crocetta, un giorno sì e l’altro pure, si richiama continuamente ai valori dell’Autonomia siciliana. Lo ha fatto qualche giorno fa – come ha notato il nostro Ignazio Coppola – nella sede dove vide la luce la Costituzione siciliana del 1812. E lo ha fatto anche oggi con un preciso richiamo agli articoli 36 e 37 dello Statuto siciliano che lo Stato ha sempre calpestato.

Gli articoli 36, 37 e 38 dello Statuto siciliano non sono mai stati punti di riferimento culturale e politico della Dc e del Pci. Anzi, possiamo affermare, senza tema di smentite, che sono stati i dirigenti di questi due Partiti – in perfetta assonanza con Roma – ad affossare l’applicazione di questi tre articoli. Il meno ‘pericoloso’ per Roma – l’articolo 38 (voluto da Errico La Loggia, che non era certo di tradizione cattolica e che non fu mai democristiano) – è stato applicato in parte e mai come avrebbe dovuto essere applicato.

Che Crocetta, oggi, si richiami ai punti forti dell’Autonomia siciliana è un fatto politicamente e culturalmente importante. Che lo faccia rispetto a un Partito – il Pd – ‘romanocentico’ per antonomasia è ancora più importante (non dimentichiamo che in ogni campagna elettorale per le elezioni nazionali Roma impone nelle liste del Pd siciliano, grazie anche al Porcellum, da tre a cinque candidati ‘paracadutati’, cioè provenienti da altre regioni italiane, gente che nulla ha a che fare con la Sicilia).

Noi non sappiamo quello che succede nel Pd. Ma la nostra impressione è che, da Roma a Palermo, le scelte che il presidente Crocetta ha iniziato ad adottare potrebbero avere scatenato un mezzo putiferio. A Roma e a Palermo gli uomini del Pd immaginavano di controllare tutte le mosse di Crocetta. Ora scoprono che non è così.

Oggi, forse, l’unico dirigente del Pd che procede in sintonia con Crocetta sembra essere Beppe Lumia. Che, guarda caso, è quello che il Pd nazionale vorrebbe mettere fuori alle prossime elezioni nazionali. Non è da escludere che, con la nuova formazione politica, Crocetta a Lumia possano trattare ad armi pari con il Pd, regionale e nazionale.

Non è chiara, invece, la posizione dell’Udc rispetto all’evoluzione di Crocetta. Anche l’Udc, da buon Partito di provenienza democristiana (quindi ‘ascarismo’ storico), non ha legami con la vera Autonomia siciliana. La svolta autonomista del nuovo presidente della Regione deve aver creato qualche problema a Giampiero D’Alia e compagni, abituati a genuflettersi ai diktat romani.

D’Alia, tra le altre cose, sconta già problemi interni. Dopo essersi preso i voti di altri ex democristiani in fuga (o in finta fuga?) dai loro rispettivi ex Partiti – con riferimento, per citare due esempi, a Lino Leanza (ex Mpa) e Nino Dina (ex Cantiere Popolare-Pid) – il numero uno dell’Udc vorrebbe mettere nel sacco tutti prendendosi la presidenza dell’Ars e tre assessorati da assegnare a tre ‘esterni’ di sua fiducia (una mossa che consentirebbe all’Udc di condizionare anche il presidente Crocetta).

Ora, chi è passato con l’Udc facendo campagna elettorale per questo Partito (e portando tanti voti) non l’ha fatto, ovviamente, per la bella faccia di D’Alia e del suo mentore Casini. Questo scenario confuso all’interno dell’Udc non agevola D’Alia e dà altro campo libero a Crocetta, che non dovrebbe avere interesse ad indebolire la sua futura giunta per accontentare D’Alia. Anzi.

Un altro dato politico certo, in questo sofferto avvio di legislatura, è che, in Sicilia, il potere, da Catania, si è spostato a Caltanissetta. Vuoi perché Crocetta arriva da Gela, vuoi perché uno dei grandi sponsor di questo Governo è il numero uno degli industriali siciliani, Antonello Montante, un uomo che non è mai stato tenero con la vecchia politica siciliana.

Ipotizzare quale potrebbe essere il ruolo di Confindustria Sicilia, in questa fase, è prematuro. Anche se non sono mancati, nel passato, apporti positivi, da parte degli industriali alla politica siciliana. Valga per tutti la battagli autonomista di Domenico La Cavera, alla fine degli anni ’50 del secolo passato. L’allora leader degli industriali dell’Isola, pur con tutti i limiti, si batteva per creare in Sicilia una moderna classe imprenditoriale.

Allora La Cavera perse la sua battaglia. Sconfitto, alla fine, dal ‘Partito della spesa pubblica’. Oggi, a differenza di quegli anni, i soldi pubblici sono finiti. E di necessità, di diritto o di rovescio, bisognerà fare virtù. Chissà che Confindustria non riesca a convincere la politica siciliana a scommettere meno sulle clientele e più sulle vere imprese. Staremo a vedere.

Piaccia o no, ma anche i due Partiti che appoggiano Crocetta – Pd e Udc – sono portatori di clientele della vecchia politica tradizionale della Sicilia (basti pensare ai precari). Ed è sul tema dell’innovazione – questa volta per davvero, però – un’innovazione fatta anche di rilancio dell’Autonomia siciliana, che si giocherà la partita dei prossimi anni.

Con molta probabilità, assisteremo a una drastica riduzione degli sprechi, con tagli che riguarderanno, soprattutto, la spesa pubblica improduttiva. E non sarà facile capire fino a che punto il Pd e l’Udc saranno disposti a seguire questa via.

 

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