A mezzogiorno il presidente della Regione è atteso in aula per riferire sul caso della presunta intercettazione choc con il suo medico Tutino. Nelle stesse ore il segretario regionale del Pd incontra il premier. Il timore dei democratici è che il governatore continui nella sua ostinata difesa personale. D'Alema e Bersani lo difendono
Crocetta all’Ars, ma il futuro si gioca a Roma «Renzi? Non me ne frega niente, non mi dimetto»
Sarà una giornata caldissima sull’asse Palermo-Roma, ma che probabilmente non deciderà ancora il futuro di Rosario Crocetta. Il presidente della Regione è atteso in aula all’Assemblea siciliana per riferire sul caso della presunta intercettazione choc col suo medico personale Matteo Tutino, mentre nelle stesse ore il segretario regionale del Pd Fausto Raciti incontrerà nella capitale il presidente del consiglio Matteo Renzi, per trovare una linea comune e provare a fissare i tempi della fine anticipata della legislatura.
Passo indietro che, però, Crocetta non sembra minimamente intenzionato a prendere in considerazione. Arrivando a sfidare persino il premier. «Renzi parla di exit strategy e di una mia uscita dal governo a settembre? Non me ne frega niente, io ho già detto e lo ribadisco anche oggi: non mi dimetto, non posso lasciare per accuse assolutamente inconsistenti». Parole che fanno suonare un campanello d’allarme all’interno dei democratici, che temono una battaglia tutta personale del governatore. Che ieri ha spiegato a Radio Anch’io di aver pensato pure al suicidio: «Avevo trovato un modo veloce e sicuro su internet. Se non fosse intervenuto il procuratore Lo Voi sarei un uomo morto».
Il governatore, oltre a rilasciare numerose interviste, ha reso pubblica una lunga nota in cui ha continuato a difendersi e a ribadire il suo totale appoggio all’ex assessora Lucia Borsellino, dimissionaria per motivi etici. «Prendano pure le distanze tutti – ha commentato Crocetta – nel dubbio ognuno pensi a salvare le proprie carriere per dire di essere estraneo al cerchio magico di Crocetta e nel frattempo non comprovare di essere nel cerchio magico dei potentati veri, quelli che rubano i soldi dei siciliani. Si continui così, uccidendo secondo per secondo un uomo colpevole di voler tagliare il malaffare. Lo si faccia fino in fondo per ragioni anche nobili legate alla ragione di Stato. Si vada avanti. Si costruiscano pure altri falsi dossier e li si pubblichi pure». Però, avvisa, «prima o poi i responsabili veri di questa montagna di menzogne saranno scoperti e la vergognosa ignominia di cui oggi io sono vittima si ritorcerà contro i carnefici, contro coloro che hanno armato quelle mani e contro coloro che per vigliaccheria, per compiacenza, per bieco interesse politico, la pistola dalle mani degli assassini, non l’hanno voluta togliere. Si vergognino di fronte alla loro coscienza, ai loro familiari, di fronte alla storia, di fronte al popolo italiano e siciliano».
All’interno del Pd, intanto, due voci autorevoli si alzano a sostengo del presidente. Prima Massimo D’Alema: «Se Marino si dovesse dimettere per una indagine che non lo riguarda, se Crocetta si dovesse dimettere per una indagine che non lo riguarda e per una intercettazione che non risulta in nessuna Procura, questa sarebbe una pagina vergognosa per la democrazia. Se il Pd siciliano – continua – ritiene di sfiduciare il presidente eletto dai cittadini, poi i cittadini giudicheranno con il voto». Poi Pierluigi Bersani, ospite di Omnibus su La7: «Avrei gradito che quando un procuratore dice che non c’è, ci si fermasse tutti, se salta fuori che Crocetta è stato investito da una bufala di proporzioni cosmiche, se il Paese non prende atto di una cosa così, verso quale Paese stiamo andando?».