Covid-19, che cosa c’è dietro le scarcerazioni dei boss Tra confusione sulle norme e aspettative dei detenuti

Nulla di nuovo sotto al sole, semplicemente una pandemia di mezzo. Si può sintetizzare così ciò che in queste settimane sta succedendo in diversi penitenziari italiani, le porte dei quali si sono aperte per consentire ad alcuni detenuti, anche di spicco, di tornare a casa agli arresti domiciliari a causa del contagio da Covid-19. A Palermo è accaduto ai boss Francesco Bonura e Pino Sansone, nel Catanese, invece, allo storico capomafia 82enne Ciccio La Rocca. La concomitanza temporale tra le singole scarcerazioni e la notizia, pubblicata pochi giorni prima da L’Espresso sulla circolare con cui il Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) ha chiesto di stilare un elenco di soggetti potenzialmente a rischio infezione ha portato in molti a ritenere che, con il bene stare del governo, si fosse in procinto di mettere in libertà indiscriminatamente decine di boss, compresi quelli sottoposti al regime del 41 bis. Le cose, però, stanno un po’ diversamente.

La polemica fuorviante sul decreto Cura Italia
«Una vergogna nazionale, che va fermata dentro e fuori il Parlamento». Matteo Salvini è stato tra quelli che più hanno protestato. Il senatore leghista ha chiamato in causa il decreto Cura Italia, nella parte in cui – all’articolo 123 – dà disposizioni in materia di detenzione domiciliare. Il provvedimento del governo Conte, che nasce dalla presa d’atto del sovraffollamento delle carceri e dell’annesso rischio contagi, prevede che «la pena detentiva è eseguita, su istanza, presso l’abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, ove non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena». Il decreto pone, però, un altro vincolo: la richiesta dei domiciliari non può riguardare coloro che sono detenuti per i reati che rientrano tra quelli descritti nell’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario. L’articolo, che è quello su cui nei mesi scorsi si sono pronunciati prima la Corte di giustizia europea e poi la Corte costituzionale, tratta i cosiddetti reati ostativi, tra i quali rientra l’associazione mafiosa. Quindi in poche parole nessuno delle istanze che hanno portato alla scarcerazione di Bonura, a cui tuttavia rimanevano da scontare pochi mesi, o La Rocca, condannato a tre ergastoli, sarebbero potute essere accolte basandosi sul Cura Italia.

Il differimento della pena per motivi di salute
La legge – il codice penale e le norme sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà – prevedono la possibilità che la modalità con cui la condanna viene espiata possa cambiare provvisoriamente nel caso in cui il soggetto si trovi «in condizioni di grave infermità fisica». Tale valutazione, che compete al tribunale di sorveglianza o in casi d’urgenza al magistrato di sorveglianza, è di natura facoltativa e si basa innanzitutto sul quadro clinico del detenuto. La possibilità di essere scarcerati non dipende dal tipo di condanna riportata, e dunque è valida anche per chi sta scontando una pena per fatti di mafia. In questo quadro, l’emergenza Covid-19 può costituire un elemento in più di valutazione delle condizioni del detenuto, tenuto conto delle possibili complicanze che deriverebbero da un contagio.

Il clima sociale e l’aumento delle istanze
Il fatto che il quadro normativo di riferimento per le richieste di scarcerazione per motivi di salute sia rimasto immutato non significa che l’attuale momento che vive il Paese non abbia avuto riflessi anche nella gestione della popolazione carceraria. D’altra parte, il tema dei rischi a cui sarebbero potuti andare incontro i detenuti in Italia è finito al centro dell’attenzione dai primi giorni dell’epidemia, per poi registrare violente proteste in diversi penitenziari a inizio marzo. E se dalle associazioni sono arrivati diversi appelli alla valutazione di misure alternative alla detenzione in carcere, in particolar modo per quanti si trovano dietro le sbarre per reati minori, l’attività degli avvocati in questi due mesi si è concentrata sulla richiesta di scarcerazione motivata anche dall’emergenza Covid. «Tutti i clienti stanno chiedendo di presentare istanze di scarcerazione, anche quelli under 70, ma è ovvio che ci sono possibilità di successo solo per coloro che presentano patologie importanti – dichiara a MeridioNews un legale – . Di base è difficile che un detenuto sottoposto al 41bis possa uscire di prigione. Le istanze di scarcerazione non sono una novità, ma, mentre prima si motivavano per incompatibilità con il sistema carcerario considerate le condizioni di salute precarie, adesso si aggiunge il fatto dell’emergenza sanitaria in corso e del rischio contagio». 

La specificità del momento fa sì che a incidere possa essere anche il luogo in cui la persona è ristretta. «In Sicilia non c’è una situazione sanitaria paragonabile a quella della Lombardia, ecco perché – continua il legale – si ha una maggiore probabilità se si è detenuti fuori dall’isola». Quando l’emergenza Covid-19 rientrerà i tribunali di sorveglianza dovranno provvedere «a fare una nuova valutazione del quadro clinico». «Sono tante le famiglie che stanno chiedendo di promuovere istanze di scarcerazione, il numero è più alto rispetto al solito – conferma un altro avvocato a MeridioNews -. Tra loro sicuramente c’è chi è spinto da una sincera preoccupazione dalle conseguenze di un eventuale contagio in carcere, e chi magari ritiene che quello attuale possa essere un momento più favorevole per ottenere risultati. Ma in ogni caso è fuorviante porre le proprie speranze sulle notizie riguardanti altre scarcerazioni, perché ogni caso viene valutato a sé. Non c’è alcuna nuova norma che favorisce il passaggio ai domiciliari».

La richiesta di chiarezza dell’Osservatorio Carcere
«Come Osservatorio Carcere dell’Unione delle camere penali italiani – dichiara a MeridioNews, il responsabile per la Sicilia Fabio Bognanni – abbiamo chiesto che vengano date informazioni chiare sugli istituti di pena. E questo nell’interesse non solo dei detenuti ma anche del personale che a vario titolo lavora nelle carceri, a riprova di come quello dei penitenziari è tutt’altro che un mondo chiuso». L’avvocato palermitano specifica come, a fronte del silenzio con cui il governo nazionale ha risposto alle questioni poste dalle Camere penali – tra cui il numero di contagi tra detenuti e personale, quello dei braccialetti elettronici a disposizione per quanti possono usufruire dell’articolo 123 del Cura Italia, la quantità di mascherine date ai detenuti -, l’Osservatorio Carcere ha inviato le richieste ai Provveditorati regionali dell’amministrazione penitenziaria. Ma anche in questo caso le risposte sono state molto poche. «Notizie sulla situazione in Sicilia? Nessuna», fa sapere Bognanni.


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