Così Inca e Maya hanno imparato a volare

La reintroduzione in natura dei due condor, Inca e Maya, nella cordigliera andina, sarebbe stata messa in atto da D’Arrigo a luglio 2006 se non fosse scomparso per quel tragico incidente.
La moglie Laura Mancuso D’Arrigo, il figlio maggiore e i componenti del team che collaboravano con D’Arrigo, si sono recati in Perù per portare avanti il progetto di Angelo.
Danilo Mainardi, professore ordinario di Etologia nella facoltà Ca’ Foscari di Venezia, ha collaborato con Angelo D’Arrigo sull’aspetto naturalistico della missione “Expedition 2005, In the wings of condor”.


Come è iniziata la collaborazione con Angelo D’Arrigo?

E’ venuto lui a trovarmi a Venezia, ma dato che io già è da tempo lavoro e sono molto amico di Marco Visalberghi è stata una cosa logica e naturale che lui venisse a parlarmi, credo che si stato molto utile per tutti. Perché essendo venuto presto, quando Inca, il pulcino di condor che abbiamo visto del film documentario di stasera stava nascendo, si è potuta pianificare una progettualità naturale. E’ stato utile anche per me perché questi animali sono poco noti e quello che abbiamo studiato può rappresentare un qualcosa che dà e darà anche in seguito risposte alla scienza e all’etologia.
 
Quali sono state le difficoltà iniziali?
Dal punto di vista etologico il problema più difficile era una sorta di conflittualità interna all’esperimento, perché da un lato era molto importante che questi animali avessero una sorta di attaccamento nei confronti di Angelo e poi di tutto il gruppo. E così è stato, altrimenti questi animali non avrebbero potuto essere stati liberati nella cordigliera andina. Loro desideravano un contatto con l’uomo e questo ha aiutato grandemente anche tutta l’osservazione su quelle che sono le loro capacità di volo, il loro progressivo maturare.
Dall’altro il rischio, e qui sta proprio la conflittualità, che gli animali imprinted sull’uomo possano avere delle difficoltà a livello riproduttivo perché possono essere attratti sessualmente dalla specie umana, possono avere un’eccessiva fiducia nell’uomo e di conseguenza correre dei rischi. 

Come si potrà evolvere questo problema?
Non so come si evolverà, però come si è visto nel documentario si è fatto il  possibile – e questa è stata la cosa più interessante – di fare un doppio imprinting: cioè questi animali non sono “improntati” solo sull’immagine umana, ma è stata usata quella sorta di marionetta che ha la forma di condor proprio per ottenere il doppio imprinting. Questo potrebbe facilitare un comportamento di tipo socio-affettivo nei confronti dell’uomo ma anche di tipo sessuale nei confronti dei condor. Non è una immaginazione campata in aria ma è quello che avviene per tutti gli animali domestici, cioè i nostri cani sono affezionati al padrone ma si accoppiano con gli altri cani. Per cui può esserci questa divaricazione tra questo tipo di rapporto sociale e un certo tipo di rapporto sessuale. Lo si vedrà tra qualche anno, ma questo esperimento ha consentito di “salvare” animali che sarebbero stati condannati a vivere in una voliera in Austria e che ora si trovano liberi nel cielo.

Considerato che Angelo era il loro “padre naturale”, poteva esserci il rischio che una volta liberati i due condor non si potessero adattare all’ambiente?
Questo è un rischio, ma in definitiva quello che sta accadendo adesso è una sorta di emancipazione. La scomparsa di Angelo ha fatto vedere che loro potevano continuare ad adattarsi all’ambiente. Il lavoro futuro del professor Calderon Ayala dell’Università di Cuczo, in Perù, sarà proprio quello di monitorare per alcuni anni questi animali. In definitiva è un’esperienza di carattere scientifico nuovo perché si sa poco di questi animali.

E’ la prima volta che Lei fa esperimenti di questo tipo?
Con questa specie sì. Quella che potrebbe essere la chiave di tutto è studiare se questo imprinting funziona. Negli animali domestici funziona, per cui si può ipotizzare che funzioni anche con questi animali che non sono stati realmente addomesticati, ma prelevati dalla natura e allevati in cattività.

Quanti condor ci sono nell’area della cordigliera andina?
Loro sono animali sedentari che vivono in un territorio molto ampio anche per trovare da mangiare. Una parte dell’ipotesi è che possano essere il primo nucleo che faciliti la formazione di un nuovo gruppo, e che gli individui giovani trovando altrui esemplari di condor potrebbero formare una colonia. E’ un tentativo, però – e di questo sono molto convinto – era l’unica cosa da fare, perché è inutile allevare animali selvatici in cattività se poi non si tenta di reintrodurli in natura. 

Lei ha mai incontrato Inca e Maya?
Nella casa di Angelo. Sono entrato nella voliera, non li ho avvicinati, ma ho visto il comportamento di questi due esemplari con Angelo. Era un rapporto socio affettivo molto intenso per essere degli uccelli.

Biologicamente come fa il condor a non sentire questa diversità visto che sono imprintati da un essere umano?
Ci troviamo di fronte a due fenomeni in competizione, perché attraverso questa forma speciale di apprendimento  che è l’imprinting si crea un attaccamento per un’immagine che non è scritta dentro istintivamente, ma si va costruendo sulla base di questa esperienza precoce dell’imprinting determinando un attaccamento anche per l’uomo. A livello della sessualità invece si è più guidati da segnali che evocano risposte istintive. Se così fosse sarebbe proprio questo che determina la dicotomia tra un’attrazione che deriva dall’imprinting per l’uomo e invece una risposta a uno stimolo sessuale che invece è scritta nel geni del DNA.


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