La talpa «onnipotente» in procura a Palermo: tra soffiate e foto avrebbe deciso anche i tempi di arresti e scarcerazioni

Si sentiva «onnipotente» tanto da raccontare di essere arrivato a consegnare in ritardo di una settimana un fascicolo con cui si disponeva la scarcerazione immediata di un uomo. «Minchia, ti immagini – diceva tra le risate generali – certe volte posso decidere io». Il protagonista della conversazione è Feliciano Leto, il commesso della procura di Palermo finito dietro le sbarre con le accuse di favoreggiamento aggravato e rivelazione di segreto d’ufficio. Una talpa, secondo gli inquirenti, al servizio di persone indagate e delle quali era diventato un punto di riferimento per scoprire particolari che sarebbero dovuti rimanere segreti.

Leto non è un dipendente del ministero della Giustizia ma appartiene al bacino degli ex Pip (Piano d’inserimento programmato), ovvero un esercito di persone, a carico della Regione, che fanno parte di un bacino di soggetti svantaggiati da reinserire nel mondo del lavoro. Posizione che per il commesso era garanzia di assoluta impunità anche lungo i corridoi del palazzo di giustizia. «Qua dentro non mi possono fare niente – si legge in un dialogo riportato nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere – Non sono impiegato ministeriale, l’unica cosa che possono farmi e di fare il nullaosta d’uscita e mi fanno una cortesia». Anche perché Leto di lavori ne avrebbe svolti già due. Oltre alle mansioni all’interno del palazzo di giustizia, si sarebbe occupato – specie di pomeriggio e il sabato – di coordinare gli autisti dell’azienda di trasporti del suocero, nelle scorse settimane sottoposta a interdittiva antimafia da parte della prefettura di Palermo.

Gli investigatori, grazie a numerosi pedinamenti e un trojan inserito nel telefono di Leto, sono riusciti a mettere insieme i pezzi di questa vicenda. A inizio ottobre, il commesso viene monitorato mentre porta con sé, a bordo di un motorino, alcuni fascicoli, tra cui una carpetta rosa e una busta bianca. Qualche giorno dopo, tramite WhatsApp, si mette in contatto con un trasportatore della ditta del suocero. Al camionista invia una foto di una nota di servizio dei carabinieri insieme a un hard disk in cui era impressa la scritta dell’Arma. Insieme alla foto, c’era anche un messaggio: «Buongiorno compà vedi che tuo zio Gino ha messo l’annuncio su Subito.it che si sta vendendo l’hard disk». Lo zio Gino a cui fa riferimento il commesso per gli inquirenti sarebbe Luigi Abbate, boss del quartiere Kalsa di Palermo, meglio noto con l’appellativo di Gino ‘u mitra, mentre il destinatario sarebbe stato il nipote.

Leto si sarebbe reso protagonista di alcune soffiate a uomini che, secondo i pubblici ministeri, farebbero parte di un commando che il 29 giugno assaltò un furgone portavalori in via Nicoletti, a Palermo. Azione portata a termine da cinque uomini, armati e a volto coperto, che riuscirono a portare via 100mila euro e una pistola Beretta 98FS con 15 proiettili nel caricatore. Il 17 ottobre, nelle mani di Leto sarebbe finito un decreto di intercettazioni nell’ambito dell’inchiesta sulla rapina. Documento che il commesso avrebbe dovuto trasportare dalla segreteria all’ufficio di un procuratore aggiunto. Durante il percorso, però, Leto si sarebbe fermato in un luogo appartato e «nel silenzio più assoluto – si legge nei documenti – si udiva un frusciare di carta, palesemente dovuto allo sfogliare delle pagine che venivano consultate». Pochi minuti e una pagina del decreto sarebbe stata fotografata dall’uomo con il proprio smartphone. Scatto effettuato «per essere trasmesso agli autori della rapina, così da aiutarli a eludere le investigazioni in corso nei loro confronti».

A fine ottobre, viene invece monitorato un incontro davanti a un chioschetto nei pressi del palazzo di giustizia, lungo corso Alberto Amedeo. Insieme a Leto c’è un uomo che lavora alla motorizzazione. «Ci sono proroghe, contro proroghe – diceva l’indagato – hai pure il WhatsApp sotto controllo e io infatti non ti ho mandato niente. Fino al 15 ottobre si è lavorato e ancora si lavora». Ma se da un lato Leto si sarebbe sentito onnipotente, dall’altro si sarebbe mostrato sensibile nei confronti di un uomo che doveva essere arrestato perché sottoposto a misura cautelare. «Ho detto “ma che gli devo portare che è già l’una?” Stu cristianellu (pover uomo, dnr)… un’altra nottata a casa! E gliel’ho portato oggi». Negligenza e comportamenti del commesso non sarebbero passati inosservati.

Nell’ordinanza viene riportato anche un aneddoto relativo a un alterco tra Leto e il direttore dell’ufficio archivio della procura. Rimproveri ai quali Leto avrebbe risposto minacciando il funzionario, anche davanti altre persone. «Dov’è sto porco – diceva – moderati! Perché la prossima volta ti spacco la faccia». Oltre alle presunte soffiate, Leto si sarebbe occupato di un mercimonio di marche da bollo, probabilmente di origine delittuosa, e di certificati giudiziari. In una circostanza, l’indagato si sarebbe fatto consegnare le carte valori da un ex dipendente del palazzo di giustizia salvo poi applicarle in alcuni casellari giudiziari che poi sarebbero finiti nelle mani dei diretti interessati dietro il pagamento di una commissione. «Leto – conclude il giudice nell’ordinanza – denota convinzione di impunità e sprezzo per qualsivoglia obbligo di lealtà e correttezza nei confronti dell’ufficio pubblico. Emerge una sua particolare propensione al crimine e una pericolosità sociale di livello estremamente elevato».


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