Un capo d'imputazione più dettagliato e la costituzione delle parti civili hanno caratterizzato il processo a carico dell'imprenditore. Il caso è stato riaperto dopo la decisione dei giudici ermellini di bocciare la sentenza di proscioglimento della giudice Gaetana Bernabò Distefano. Si potrebbe arrivare a sentenza a marzo
Ciancio, celebrata nuova udienza per l’editore Caso riaperto dopo annullamento Cassazione
Torna sui tavoli dei giudici etnei la vicenda giudiziaria che riguarda Mario Ciancio Sanfilippo. Il potente editore ed ex direttore del quotidiano La Sicilia, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. A occuparsi oggi della vicenda, durante la prima udienza che arriva dopo l’annullamento con rinvio della corte di Cassazione, è stata la giudice per l’udienza preliminare Loredana Pezzino. In aula, com’è sempre avvenuto in passato, non era presente l’imprenditore ma c’erano soltanto i suoi avvocati Carmelo Peluso e Francesco Colotti, quest’ultimo sostituto processuale della penalista Giulia Bongiorno.
Un’udienza abbastanza veloce, durante circa venti minuti e celebrata al secondo piano del palazzo di giustizia a piazza Giovanni Verga. Per l’accusa erano presenti i magistrati Antonino Fanara e Agata Santonocito che hanno chiesto di modificare il capo d’imputazione, fissando l’inizio del presunto reato, che era indefinito, al 1982. Fissato anche il calendario delle prossime udienze con la sentenza che potrebbe arrivare già nel mese di marzo.
L’inchiesta Ciancio ha sempre riservato numerosi colpi di scena, dalla richiesta di archiviazione della procura all’imputazione coatta scelta dal giudice Luigi Barone. Più recenti è invece la discussa sentenza di proscioglimento della giudice Gaetana Bernabò Distefano, che il 21 dicembre 2015 aveva chiuso il caso con la formula del «fatto non costituisce reato», alludendo alla mancata esistenza del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Una sentenza ricca di punti oscuri ed errori che aveva spaccato il tribunale di Catania e indotto il capo dell’ufficio gip, Nunzio Sarpietro, a prendere le distanze dalla collega, bollando la decisione di negare il reato «come una scelta personale e isolata».
A settembre dello scorso anno, inoltre, si assiste a nuovo ribaltamento con la Cassazione che annulla con rinvio e rimanda gli atti alla fase dell’udienza preliminare. Il ricorso, oltre alla procura etnea, ha visto in prima linea Dario e Gerlando Montana, fratelli del poliziotto Beppe ucciso dalla mafia nel 1985, assistiti dall’avvocato Goffredo D’Antona. Tra le parti civili c’è anche l’ordine dei giornalisti di Sicilia rappresentato dall’avvocato Dario Pastore.