Catania-Chievo, voto quattro al pubblico Striscioni e cori a favore di Speziale

Se per una domenica mi si attribuisse il potere di vergare le pagelle, darei un bel sette e mezzo al Catania per come questo pomeriggio ha messo sotto il Chievo. Un voto meritato per la paziente fatica con cui i rossazzurri hanno fatto saltare il catenaccio avversario, fino a segnare con una zuccata di Almirón il gol del giusto vantaggio; e per la sapienza con cui hanno poi amministrato la partita, aspettando che l’avversario si scoprisse, ripartendo in contropiede e chiudendo il conto ancora con Almirón.

Al pubblico di Catania, invece, darei un bel quattro. Per due ragioni. In primo luogo, è una tristezza infinita vedere che, con la nostra squadra agganciata ai piani alti della classifica –– e che c’’è arrivata, da quelle parti, sfoderando un bel gioco che in Italia non tutti possono permettersi –– lo stadio si riempie solo quando c’è da assistere a partite come quelle contro la Juventus. Partite che tra l’’altro, sono spesso un’’offesa al gioco del calcio. Le tribune restano invece per metà vuote, come è successo oggi contro il Chievo, quando tra gli avversari non ci sono Pirlo o Buffon, ma più modestamente Sorrentino o  Gennaro Sardo. E quando dunque l’’unica ragione per andare al Massimino è quella di sostenere i rossazzurri.

Ho insomma l’’impressione che il nostro stia diventando un pubblico un po’’ troppo schifiltoso, più o meno come negli anni passati è stato quello di Palermo. Che non si è quasi mai degnato di riempire la Favorita nemmeno negli anni in cui i rosanero veleggiavano verso l’’Europa. E che oggi si risveglia con una squadra costretta, stando almeno alla classifica di oggi, a guardare con preoccupazione alla salvezza.

Ma il brutto voto, soprattutto, lo darei a quei tifosi che oggi hanno inalberato striscioni inneggianti all’’innocenza di Speziale e Micale, i due ultrà condannati per l’uccisione dell’ispettore Filippo Raciti. Condannati dalla Cassazione, dunque con sentenza definitiva, dopo la quale non vale più la presunzione di innocenza. Intendiamoci: ciascuno, secondo me, resta libero, se crede, di criticare civilmente una sentenza, anche quando è irrevocabile. Solo che, se è vero che non è bene fare i processi in piazza, mi pare che sia ancor più sconsigliabile celebrarli nelle curve di uno stadio. Anche perché mi piacerebbe capire quanti sono, tra gli ultrà che oggi intonavano cori inneggianti ai due condannati, quelli che lo hanno fatto per puro e illuminato garantismo; e quanti invece perché si trovavano là in mezzo, il 2 febbraio del 2007, a scatenare quella guerriglia senza cui, evidentemente, l’’ispettore Raciti non sarebbe stato ucciso.

Io non sono tra quanti amano perdutamente la polizia. È difficile amarla senza riserve, la polizia italiana, quando si vedono, come in questi giorni, agenti che prendono un ragazzo inerme a manganellate sulla faccia. Ma da questo a promuovere Speziale e Micale a martiri, a trasformarli nei nuovi Sacco e Vanzetti siciliani, a scordarsi chi è stato la vittima e chi invece ha cercato la violenza, ce ne corre. Che ci pensino gli avvocati, se hanno argomenti per farlo, a difendere ad oltranza i due condannati, a chiedere ad esempio la revisione del processo. Della pelosa solidarietà di qualche gruppetto di tifosi, secondo me, il calcio può fare tranquillamente a meno. Ma poi, non è neanche questione di calcio: direi che può farne a meno la città.

Claudio Spagnolo

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