Caso Milluzzo, il racconto degli ultimi giorni di Valentina «Mia figlia si sentiva morire, ma di parto non si muore»

Una foto della figlia, tirata fuori dalla tasca della giacca per mostrarla alla giudice Elena Maria Calamita, e i racconti, spesso interrotti dalle lacrime, per ripercorrere quei maledetti 17 giorni che le hanno portato via la figlia. A parlare è Giuseppina Moschetto, mamma della 32enne Valentina Milluzzo: la donna morta all’ospedale Cannizzaro il 16 ottobre 2016, poco dopo avere perso i due figli che portava in grembo da cinque mesi. La procura ipotizza il reato di omicidio colposo e per questo, dopo un’inchiesta durata due anni, alla sbarra sono finiti in sette. In testa c’è il primario di Ginecologia dell’ospedale Cannizzaro Paolo Scollo. «Valentina mi è stata consegnata dentro a una bara – racconta la madre durante l’udienza di oggi – perché è stata lasciata morire da persone ignoranti». Parole dure pronunciate in una cornice di assoluto silenzio, interrotto soltanto dalle domande di avvocati, giudice e procura. Alla sbarra, insieme a Scollo, ci sono cinque dirigenti medici: Silvia Campione, Giuseppe Calvo, Alessandra Coffaro, Andrea Benedetto Di Stefano e Vincenzo Filippello. Con loro anche l’anestesista Francesco Cavallaro.

L’odissea della famiglia di Palagonia, costituitasi parte civile nel processo con l’avvocato Salvatore Catania Milluzzo, comincia il 29 settembre 2016. Quel giorno la 32enne viene ricoverata al Cannizzaro per una dilatazione anticipata dell’utero. La situazione peggiora tra il 2 e il 5 ottobre. «Mia figlia era seguita dal ginecologo Giancarlo Conoscenti (non imputato, ndr) – spiega la donna – il 2 ottobre ci disse che si sentivano i battiti dei bambini ma la speranza era minima e al 99 per cento li avrebbe persi. Ma mai nessuno ci ha detto che Valentina correva dei rischi a livello personale». Quattordici giorni dopo a portarsela via sarà una sepsi con crisi emorragica dovuta a un’infezione che, secondo la procura, non è stata riconosciuta in maniera adeguata dai medici.

Valentina mi disse che stava morendo. Ma io le risposi che di parto non si muore

A questo si aggiunge anche il mistero legato all’esame del tampone vaginale. Utile proprio per individuare eventuali infezioni. «Il primo le è stato fatto il 30 settembre (il giorno dopo il ricovero, ndr) – spiega il padre Salvatore Milluzzo, anche lui chiamato come testimone – Qualche giorno dopo, il 10 ottobre, l’esame viene ripetuto e le prescrivono un’ecografia che poi non le hanno mai fatto in quanto è morta». Ed è proprio sul risultato del secondo tampone che ruota uno dei punti controversi di questa storia, perché quel risultato non è mai finito nella cartella clinica della paziente agli atti dell’inchiesta. «Tre giorni dopo (13 ottobre, ndr) abbiamo chiesto e un medico, dopo avere controllato al computer, ci ha detto che anche il secondo tampone era negativo». Quel referto viene inviato solo cinque mesi dopo, da un anonimo, allo studio dell’avvocato della famiglia Milluzzo. Stando alla difesa di Scollo, sostenuta dall’avvocato Attilio Foresta, l’ospedale sarebbe stato informato in forma ufficiale qualche giorno dopo il sequestro della cartella clinica. «Il professore – spiega il legale – il 25 ottobre lo ha inviato alla direzione generale in quanto la stessa in quel periodo si interfacciava con gli ispettori inviati dal ministero della Sanità».

Il quadro clinico della 32enne alterna alti e bassi. Febbre costante, dolori intestinali e l’obbligo di tenere le gambe alzate per evitare sforzi. La madre, esausta dai giorni trascorsi in ospedale, torna a Palagonia per qualche ora di riposo ma la situazione precipita durante la notte del 14 ottobre e si fa sempre più delicata. «La mattina successiva stava male e aveva la febbre – continua il padre – La temperatura saliva e scendeva e lei ci disse che era stata controllata dal dottore Vincenzo Filippello e che i valori erano alterati e per questo le avevano dato la Tachipirina». La situazione peggiora e, stando al racconto dei genitori, la paziente sarebbe stata lasciata sola: «Siamo stati abbandonati, ci dicevano che l’unico dottore era impegnato in sala parto – continua il padre -. Almeno fino alle 15 quando abbiamo preso il letto e dal reparto di Ginecologia siamo scesi in sala parto». Come siano andate le cose all’interno non è del tutto chiaro, nonostante le rassicurazioni: «Ci dissero che era una colica renale ma quando mia moglie è entrata, intorno alle 19, l’ha trovata sola e collassata». «Valentina mi disse che stava morendo e io le risposi che di parto non si muore – racconta la mamma tra le lacrime – ma lei l’aveva capito cosa stava succedendo, mentre i medici no. La setticemia le aveva preso gli organi e noi pensavamo fossero le complicazioni dell’aborto». 

Uscita dalla sala parto aveva gli occhi chiusi da due cerotti. Forse era già morta

Il primo di questi, annunciato ai familiari dal dottore Andrea Di Stefano, avviene la notte del 15 ottobre. «Siamo entrati e lo abbiamo visto – continua il padre della 32enne – Chiedevamo di fare espellere anche l’altro ma Di Stefano, davanti a tutti, disse che non poteva intervenire essendo obiettore di coscienza». Ipotesi, quest’ultima, da sempre negata dai vertici del Cannizzaro. «Non si sono resi conto dello stato di salute di mia figlia – continua il padre – Le somministrarono l’ossitocina e poi, dopo un po’, ci dissero anche anche il secondo feto era stato espulso ma che non si poteva vedere perché da ripulire».

Valentina Milluzzo si aggrava tanto da rendere necessario il trasferimento nel reparto di Rianimazione. «È stata spostata in barella, con gli occhi chiusi da due cerotti bianchi – continua il padre – Io l’ho toccata ed era fredda. Forse era già morta». La donna verrà dichiarata deceduta nel primo pomeriggio di domenica. «Mia moglie è caduta a terra, dopo che ci hanno comunicato la notizia. Sappiamo soltanto che lei è entrata in ospedale in ottime condizioni di salute e ci hanno restituito il corpo dentro a una bara».


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