«Non si può parlare di soddisfazione, ma la giustizia anche oggi ha trionfato». Così l’avvocato Francesca Villardita ha commentato parlando con MeridioNews la sentenza della corte d’Assise di Appello di Catania che ha condannato all’ergastolo Christian Leonardi, confermando la sentenza di primo grado. L’ex guardia giurata unico imputato nel processo per omicidio volontario della moglie Eligia Ardita e per il procurato aborto di Giulia, la bambina di otto mesi che l’infermiera siracusana 35enne portava in grembo. Fino alla notte del 19 gennaio 2015, quando è stata uccisa nella sua casa in via Calatabiano, nel quartiere Santa Panagia di Siracusa.
«Adesso aspettiamo di leggere con attenzione le motivazioni – aggiunge il legale che assiste la famiglia Ardita – e vedere se sono conformi a quelle del primo grado». La confessione poi ritrattata, i rilievi dei carabinieri del Ris di Messina nella scena del crimine e gli esisti dell’autopsia. Sono questi i tre elementi principali – concordanti tra loro – su cui si è fondata la prima sentenza di condanna all’ergastolo. Anche oggi, come il 5 dicembre del 2018, Leonardi ha scelto di non essere presente in aula.
In primo grado, i giudici hanno riconosciuto l’aggravante di avere agito per futili motivi. Alla base della violenta lite, infatti, ci sarebbe stata la richiesta di Eligia al marito «di non uscire di casa per recarsi a una sala Bingo». Per questo l’infermiera sarebbe stata colpita più volte alla testa e soffocata con la pressione della mano sulla bocca e sul naso «in modo da determinarne il rigurgito del cibo e il conseguente soffocamento per ostruzione delle vie respiratorie». Solo dopo avere sistemato la moglie sul letto, cambiandole i vestiti sporchi e pulendo le tracce di vomito, l’uomo avrebbe chiamato i soccorsi e i suoceri che erano stati a cena da loro quella stessa sera. «Il feto (descritto come una «bella bambina dal peso di 1,950 chili») si sarebbe potuto salvare se l’imputato, anziché dedicarsi alacremente a cancellare le tracce dell’efferato delitto, avesse richiesto tempestivamente l’intervento del 118».
Gli operatori che intervengono sul posto descrivono Leonardi come «nervoso» e «impegnato a parlare al cellulare». In realtà, dall’esame dei tabulati telefonici risulta che avrebbe fatto una sola breve telefonata. Inizialmente, l’uomo fornisce tre versioni differenti dei fatti: subito dice di essersi svegliato perché ha sentito la moglie «rantolare», poi che stava guardando la tv quando ha sentito la moglie, in camera da letto, non respirare bene. Nella terza versione, la donna «vomitava in soggiorno». L’ipotesi iniziale delle indagini è che si sia trattato di un caso di malasanità e nel registro degli indagati vengono iscritti gli operatori del 118 e il ginecologo. Dall’autopsia, però, emerge che Eligia è morta per asfissia meccanica e che, mentre era ancora in vita, aveva subito un trauma cranico.
A quel punto, l’attenzione si focalizza sul marito. Sposati da meno di tre anni dopo un fidanzamento di oltre otto, apparentemente sarebbero stati una coppia felice. In realtà, i litigi sarebbero stati frequenti. È stata la madre a riferire che «Christian alzava le mani» e che, dopo i primi mesi di matrimonio, la figlia le aveva confidato l’intenzione di separarsi. «Questo se si parte con le mani te ne puoi andare. Ti pesta, le ossa del corpo ti spezza». È il contenuto di una conversazione intercettata all’interno della macchina di Leonardi che è il soggetto della frase pronunciata da uno dei due amici in auto con lui.
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