Un «desolante stato di abbandono e incuria» in cui gli anziani venivano «lasciati in mezzo alla merda», insultati, derisi, umiliati e a quanto pare puniti facendo indossare ad alcuni di loro delle tute total body in plastica con cerniera di chiusura sulle spalle, così da rendere difficile ogni tentativo di svestizione. Il racconto, condensato in poche righe, è quello che viene fuori dalle indagini dei carabinieri sulla casa di riposo Santa Chiara, a Caltanissetta. Una struttura che, almeno stando alle accuse, avrebbe avuto poco o nulla a che fare con lo spirito della religiosa alla quale, tuttavia, i fondatori si proclamano devoti, con tanto di citazione riportata nella home page del sito web: «L′amore di lui rende felici, la completezza ristora, la benignità ricolma». Nel blitz di martedì sei persone sono finite in carcere, mentre per altre tre sono stati disposti gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. Sono accusate, a vario titolo, di maltrattamenti, sequestro di persona, abbandono di incapaci ed esercizio abusivo della professione di infermiere. Insieme avrebbero fatto da «ingranaggi di un’unica catena di montaggio che puntava a massimizzare i guadagni».
Per capire questa vicenda bisogna cominciare dall’inizio. Cioè dalla denuncia di una donna che aveva il padre ospite della casa di riposo. È lei a raccontare ai carabinieri le modalità con le quali sarebbero stati gestiti gli anziani. Rivelazioni dettagliate e che fanno riferimento anche a una paziente neurologica che sarebbe stata chiusa in un magazzino perché parlava in continuazione. C’è poi un presunto gruppo WhatsApp con tanto di foto degli ospiti, che poi sarebbero state commentate. Telecamere nascoste e intercettazioni ambientali mettono insieme gli altri tasselli. La titolarità della struttura viene ricondotta all’indagata Venera Alaimo, mentre la gestione risulta affidata a una società di Agata Salamone, con tutti gli altri dipendenti – tutti operatori socio sanitari – che sarebbero assunti da quest’ultima. Tra loro, secondo le accuse, spicca il ruolo di Pietro Castronovo. Elemento di raccordo tra le due donne e il resto degli indagati, è accusato di essere il protagonista di numerose condotte. Una di queste è particolarmente pesante e riguarda l’esecuzione di un clistere evacuativo a un anziano, secondo l’accusa senza averne le competenze e con la complicità di Agata Salamone. Una pratica che provoca estreme sofferenze a chi l’ha ricevuta in un susseguirsi estenuante di lamenti e richieste d’aiuto. Alla fine l’anziano, esausto, verrà lasciato a letto, avvolto con un panno che presto si riempie di sangue a causa delle lacerazioni subite. Gli altri operatori notano la situazione, qualcuno sottolinea la necessità di chiamare un’ambulanza, ma alla fine l’uomo rimane solo, abbandonato al suo destino.
Diversi passaggi dell’inchiesta sono dedicati ai trattamenti subiti da un 84enne. L’anziano, particolarmente irrequieto, ha un chiaro problema di incontinenza fecale, ma – stando alle accuse – la sua situazione non avrebbe suscitato le dovute attenzioni da parte degli operatori. «Ma come si fa a perdere tempo con sto minchia di cristiano», si lamentava uno degli indagati, notando poi come vi fossero «cacate ovunque». L’anziano, chiuso in una stanza senza condizionatori o ventilatori – parliamo di agosto – sarebbe stato lasciato per giorni nudo sul letto tra feci e urina. Qualcuno avrebbe provveduto a girare il materasso dall’altro lato, mentre altri gli avrebbero fatto indossare la tuta con cerniera di chiusura sulle spalle. L’uomo, senza giri di parole, veniva anche accusato di essere «sempre in mezzo alla merda». E non sarebbe stato l’unico: «L’ho trovata piena di merda… in bocca… merda ovunque», commentavano gli indagati sulla situazione di un’altra anziana.
Feci, ma anche vomito. In un’intercettazione Salamone commentava la presenza di chiazze di vomito vecchie e non pulite, quindi ormai secche, dietro i letti di due anziani. In un altro dialogo riportato nell’ordinanza Castronovo spiegava ai vertici della struttura di avere pulito due anziane che non sarebbero state lavate per circa 20 giorni. «Le ho allargato le gambe e le ho infilato la spugna ed era nera di sporcizia… mutande da bianche a nere e gliele ho dovute buttare, visto che non si potevano riprendere più». All’interno della casa di riposo Santa Chiara, adesso sequestrata e affidata a un amministratore giudiziario, lavoravano sette operatori socio sanitari. Tre distribuiti nel turno di mattina, due di pomeriggio e uno di notte dalle 21 alle 7. In particolare durante il turno di notte gli anziani sarebbero stati lasciati in balia di loro stessi. Inascoltate, secondo le accuse, le urla e le richieste di aiuto da parte degli ospiti. In un filmato catturato dalle telecamere si vede un anziano che dopo essersi alzato dal letto si mette in ginocchio senza più riuscire ad alzarsi. Per circa 30 minuti l’uomo avrebbe chiesto aiuto, mentre Castronovo – secondo la ricostruzione – era seduto nel vicino terrazzo.
Nella mole dell’indagine sono emersi anche altri dettagli. Nel caso di un 91enne, Alaimo avrebbe fatto riferimento, seppur in maniera non esplicita, come sarebbe stato opportuno utilizzare dei sedativi. In un altro dialogo Castronovo commentava l’impossibilità di mettere un tappo in bocca a un anziano, come invece gli avrebbe suggerito Salamone, a causa della presenza dei familiari. Inoltre l’uomo avrebbe accettato di somministrare a un ospite dell’acqua invece del farmaco in gocce e tutto soltanto perché Salamone, in quel momento, non avrebbe avuto intenzione di uscire per comprarlo.
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