I fratelli Claudio e Giovanni Aprile sono stati assolti «per non avere commesso il fatto». Per il collegio del tribunale di Siracusa, i due imputati non avrebbero avuto nessun ruolo nell’episodio della bomba carta fatta esplodere, nel dicembre del 2017, sotto l’auto della legale Adriana Quattropani a Pachino, nel Siracusano. Assolti entrambi – che si trovano comunque in carcere, anche insieme al terzo fratello Giuseppe perché coinvolti nel processo Araba Fenice – dalle accuse di violenza pluriaggravata a pubblico ufficiale, detenzione di materiale esplodente, minacce e danneggiamento, reati aggravati dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolare il clan Giuliano che è attivo nella zona più a sud della provincia di Siracusa. Per quell’ordigno sono già stati condannati con il rito abbreviato dalla Cassazione nel dicembre del 2020 Giuseppe Vizzini – detto Peppe Marcuotto – e i suoi due figli Simone e Andrea.
Stando alla ricostruzione degli inquirenti nel corso delle indagini, alla base dell’attentato intimidatorio ci sarebbe stata la funzione di curatrice fallimentare di Quattropani. La professionista, nel periodo immediatamente precedente i fatti, aveva consegnato al legittimo proprietario a cui era stato affidato un distributore di carburante gestito dalla ditta guidata dalla moglie di Giuseppe Vizzini, Franca Corvo. La donna che, nella seconda metà degli anni Duemila, è stata anche assessora comunale a Pachino. A Marcuotto è stato contestato anche il reato di minaccia e violenza alla legale aggravato dalla modalità mafiosa per un fatto accaduto mesi prima. Quando Vizzini avrebbe intimidito la Quattropani, invitandola a interrompere la procedura fallimentare ricordandole dell’uccisione del proprio cognato per un regolamento di conti. Giovanni Aprile, che si era costituito dopo alcune ore in cui si era reso irreperibile, era stato arrestato con l’accusa di avere comprato l’accendino utilizzato per provocare l’esplosione dell’ordigno ma era stato scarcerato una ventina di giorni dopo.
Ed è stato l’avvocato Giuseppe Gurrieri, che è il difensore dei fratelli Aprile, a ricordare che in quella stessa indagine «era emersa l’organizzazione di un piano omicidiario nei confronti del giornalista Paolo Borrometi. In realtà, già il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, in risposta a una richiesta della Commissione regionale antimafia, scriveva che si trattava di “una interpretazione del giornalista”». In particolare c’è un’intercettazione in cui Vizzini parla con il boss Salvatore Giuliano del giornalista del sito La Spia chiamandolo «Stu lurdu». «Lo so – risponde Giuliano – ma che cazzo è, ma perché non si ammazza, ma fallo ammazzare, ma che cazzo ti interessa».
Nel verbale dell’interrogatorio fatto all’indomani dell’arresto, rilascia dichiarazioni spontanee e prova a spiegare alla giudice per le indagini preliminari che dietro quelle parole non ci sia né l’intento né il progetto di uccidere Borrometi, come viene ricostruito invece dalla gip. «Ho denunciato Borrometi per le accuse contro di me, per quello che aveva pubblicato sul mio conto. Giuliano mi diceva di lasciarlo stare, non di ammazzarlo». «Ciò nonostante – continua l’avvocato Gurrieri – c’era stata una levata di scudi a difesa del giornalista da parte di rappresentanti delle istituzioni, del mondo dello spettacolo e, secondo quanto affermato dallo stesso cronista, anche da parte di Papa Francesco. Dopo quasi cinque anni dai fatti – conclude Gurrieri – ciò che conta è l’assoluzione per non avere commesso il fatto».
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