Rifiuti, Crocetta e altri 11 accusati di traffico illecito Documenti falsi per portare la munnizza alla Cisma

Nell’estate del 2016 la Sicilia affronta l’ennesima emergenza spazzatura. Le discariche sono sature, alcune attendono le autorizzazioni per l’ampliamento e i rifiuti rischiano di rimanere per strada. Sul tavolo dell’allora presidente Rosario Crocetta arriva la proposta della Cisma Ambiente di Melilli, un impianto nato per smaltire rifiuti pericolosi che adesso si propone di ricevere anche quelli normali, provenienti dai Comuni. Pochi mesi dopo lo stesso impianto verrà sequestrato perché i titolari – Antonino e Carmelo Paratore sono accusati di essere affiliati al clan Santapaola di Catania, e fedelissimi del capomafia Maurizio Zuccaro. Ma a luglio del 2016 l’indagine non è ancora scoppiata. Crocetta firma due ordinanze – la numero 11 e la numero 13 del 2016, reiterate poi con la numero 28 di dicembre – che danno il via libera al conferimento nella Cisma della munnizza prodotta in una ventina di Comuni siciliani, delle province di Siracusa e Palermo. Solo che la documentazione prodotta per il progetto sarebbe stata falsa, profondamente diversa dalla reale situazione dell’impianto. È questo il quadro che emerge grazie al lavoro dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Catania, che hanno eseguito le indagini coordinate dai pubblici ministeri della Procura di Catania Giuseppe Sturiale e Carmelo Petralia. 

La nuova indagine del Noe è la prosecuzione dell’operazione Piramidi, e conta oggi 12 indagati: oltre al presidente Crocetta, ci sono l’ex direttore generale del dipartimento rifiuti Maurizio Pirillo, il funzionario regionale Maurizio Verace, il capo dell’ufficio tecnico del Comune di Melilli Salvatore Salafia che avrebbe dato parere positivo al progetto. Coinvolti anche i vertici della Cisma, Antonino e Carmelo Paratore, la direttrice responsabile della società Agata Di Stefano e il dipendente Davide Galfo; i professionisti incaricati da Cisma di effettuare le consulenze: Giorgio Bonuso, direttore dei lavori, e Giuseppe Puleo, entrambi per conto della società Iia srl incaricata da Cisma di redigere i progetti; Fabio Nicita, consulente per la relazione geologica; Salvatore Maria Zaccaro, consulente per l’analisi di rischio. Per tutti il reato ipotizzato è traffico illecito di rifiuti in concorso, di competenza della Procura distrettuale di Catania. Per i Paratore, Crocetta e i funzionari della Regione è scattata anche la contestazione di abuso d’ufficio. Il reato di falso è contestato ai Paratore, a Pirillo e a tutti i consulenti. Inoltre è scattata una contravvenzione penale a causa degli odori nauseabondi derivanti dal nuovo impianto di trattamento, su cui alcuni residenti avevano presentato esposti e denunce.

Secondo quanto ricostruito dai carabinieri, in appena tre mesi alla Cisma sarebbe stato costruito un vero e proprio tappo di cemento (detto capping) sulla discarica di rifiuti pericolosi: 14mila metri quadri di cemento che rappresentano il nuovo piano, diviso in diversi stalli, dove ricevere i rifiuti solidi urbani e trattarli con un impianto mobile per la tritovagliatura. In sostanza sopra a una collina di rifiuti pericolosi si è iniziato a trattare quelli provenienti dai Comuni. Il tutto però sarebbe stato possibile falsificando le carte. A cominciare dal fatto che, a differenza di quanto certificato, la vecchia discarica non era esaurita. Di tutto questo sarebbero stati complici i consulenti chiamati dalla Cisma, ma anche il capo ufficio tecnico del Comune di Melilli. Così come, ne sono convinti gli investigatori, anche il dirigente generale Pirillo sarebbe stato consapevole del falso. Negli otto mesi successivi all’attivazione del nuovo impianto e prima della revoca delle autorizzazioni, che Crocetta applica solo a seguito dell’operazione Piramide, nelle casse della Cisma finiscono circa tre milioni di euro dai Comuni che conferiscono i loro rifiuti.

Il presidente Crocetta si è difeso sostenendo di non avere mai autorizzato «opere in cemento nella discarica. Ho agito secondo la legge – ha aggiunto – e per consentire alla Sicilia di uscire da una grave emergenza e nell’esclusivo interesse del popolo siciliano. La mia coscienza è totalmente tranquilla. Capisco che, passata l’emergenza, tutti dimenticano il contesto ma a volte un amministratore deve portare la croce per avere fatto il proprio dovere». Le ordinanze in regime di emergenza dell’estate del 2016 si inserivano in un momento di forti contrasti tra il governatore e il dirigente Pirillo da un lato e l’allora assessora Vania Contrafatto dall’altro. Una guerra che aveva riguardato anche le autorizzazioni ad alcune discariche, tra cui proprio quella alla Cisma.

Quella emersa nelle ultime ore – ma gli indagati hanno ricevuto l’avviso di garanzia ad aprile – è la terza indagine che tocca l’impianto di Melilli. Oltre a quella che ha portato all’arresto dei Paratore con l’accusa di associazione mafiosa, circa un anno dopo, un’altra indagine ha fatto luce sulla rete di corruzione che – contando anche sul pm di Siracusa Giancarlo Longo e sull’avvocato Giuseppe Calafiore – si sarebbe attivata per ottenere l’ampliamento della discarica, a cui inizialmente si erano opposti i funzionari regionali Marco Lupo e Antonio Patella, e che poi fu definitivamente sbloccata proprio da Verace (oggi nuovamente indagato). Furono invece gli attivisti locali a denunciare lo smaltimento nell’impianto di Melilli del polverino proveniente dall’Ilva di Taranto, nonostante un divieto di trattare rifiuti provenienti da fuori la provincia di Siracusa.


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