Chiusura della prefettura di Enna La protesta non convince

di Massimo Greco (*)

Ad essere sinceri la protesta di questi giorni in ordine alla paventata soppressione della Prefettura di Enna ci rende perplessi, atteso che la stessa si presenta sproporzionata rispetto al fine e tardiva rispetto alla strategia difensiva del territorio. Ma mi spiego meglio per evitare di essere frainteso.

A seguito dei gravosi impegni di natura finanziaria assunti dal nostro Paese con l’Unione Europea, tutte le politiche pubbliche degli ultimi hanno mirano ad una contrazione progressiva della spesa pubblica. Corollario di questo assunto è che la razionalizzazione/ottimizzazione di tutte le articolazione dei pubblici poteri è un atto vincolato e necessitato per qualunque tipologia cromatica di governo. 

Senza entrare nel merito delle cause di ciò che ha generato il drammatico indebitamento pubblico del nostro Paese, ci sembra utile in questa fase soffermarci su come Stato-apparato e Stato-comunità non siano più due facce della stessa medaglia. In sostanza lo Stato si ritira sempre più dai territori e questo non in forza di un corretto ed equilibrato principio di sussidiarietà ma, per dirla con De Rita, in coerenza con una più o meno premeditata “disintermediazione del rapporto tra politica di vertice e singoli cittadini attraverso la delegittimazione delle varie sedi intermedie di confronto e di mediazione”.

Questo fenomeno interessa solo apparentemente tutto il territorio italiano, poiché a risentire maggiormente di tali traumatiche trasformazioni sono i territori più deboli, cioè quei territori dove l’Italia e meno Italia. E tra questi certamente quelli delle aree interne della Sicilia. Se questo è il contesto di riferimento, la programmata soppressione della Prefettura di Enna non dovrebbe più di tanto scandalizzare nessuno, se pensata all’interno di un avviato processo di “disintermediazione”. 

La soppressione dell’organo periferico del Ministero dell’Interno è infatti soltanto una conseguenza dell’effetto domino di una caducazione progressiva di quei pubblici poteri che lo Stato non ha più interesse a mantenere sui territori o comunque su tutti i territori.

Ma ciò che ci rende perplessi, al netto di chi oggi ha evidenti interessi elettorali a cavalcare l’onda della protesta, deriva dalla sproporzione di tale protesta rispetto ad una Istituzione pubblica che, ancorchè simbolica della presenza dello Stato, rappresenta pur sempre un ufficio dello Stato e non delle comunità locali. Così come non riusciamo a comprendere come possa solo adesso sollevarsi una protesta popolare quando la medesima protesta non ha trovato i necessari consensi in occasione di quello che, invero, riteniamo abbia configurato il colpo mortale al territorio, e cioè la perdita dell’autonomia politica di un ente territoriale di governo come la Provincia Regionale di Enna e la perdita di autonomia funzionale di un Ente come la Camera di Commercio di Enna. 

Ci saremmo aspettati una protesta più vibrata allorquando veniva deciso lo strappo delle due autonomie esponenziali della comunità provinciale, quella politica territoriale e quella funzionale.

La Provincia Regionale di ieri era infatti, anche per espressa volontà del legislatore, un Ente pubblico territoriale che realizzava l’autogoverno della comunità provinciale sovrintendendo, nel quadro della programmazione regionale, all’ordinato sviluppo economico e sociale della comunità medesima. 

Il libero consorzio di comuni di oggi è invece un ente che presenta solo due tipi di autonomia, quella amministrativa e quella finanziaria, risultando sprovvisto della terza autonomia, quella politica. La Camera di Commercio, commissariata sine die e rimasta ormai solo sulla carta a Enna, era un’autonomia funzionale che trovava la sua genesi nella collettività o categoria di interessi a cui apparteneva. 

Rappresentava, in tal senso, un modo di fare amministrazione differente, dove l’appartenenza alla comunità ne delimitava gli interessi da tutelare e allo stesso tempo permetteva di attribuire una connotazione soggettiva all’ente che tali interessi rappresentava. Tale tipologia di autonomia, connotata dall’autonomia statutaria e gestionale, con gli scopi di utilità sociale che ne caratterizzavano la funzione orientata ad attività di interesse generale, rappresentava l’espressione della sussidiarietà orizzontale: libera, indipendente da condizionamenti esterni e dotata della capacità di autodeterminarsi.

Lo strappo dell’autonomia politica e funzionale del territorio, in disparte i connessi problemi di riassetto delle molte e rilevanti funzioni di competenza provinciale che rischiano ora di essere accentrate, amministrativizzando ancor più l’elefantiaca Regione Siciliana a danno del suo ruolo proprio di ente di legislazione e di programmazione, comporta certamente una deminutio della democrazia locale e della partecipazione.

Come si può pensare di frenare l’emorragia di Istituzioni statali (oggi) e regionali (domani) quando non si è stati in grado di arrestare l’emorragia di quelle locali (ieri)?

(*) Funzionario Direttivo della Regione Siciliana e Cultore di diritto pubblico e comparato all’Università Kore di Enna – massimo.greco@unikore.it


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