Femminicidio, parla la mamma di Giordana Di Stefano «Mi rivolgo ai ragazzi affinché riconoscano la violenza»

«La storia di Vanessa mi ha riportato indietro di sei anni». Anche quella volta, il 7 ottobre del 2015, era notte quando l’ex compagno – il 25enne Antonio Luca Priolo – ha deciso di accoltellare a morte Giordana Di Stefano. Anche quella una tragedia definita presto annunciata, considerata la precedente denuncia per stalking presentata dalla ragazza. La storia di Vanessa Zappalà, uccisa lunedì ad Acitrezza dall’ex convivente Tony Sciuto – poi morto suicida – non poteva lasciare indifferente Vera Squatrito, la mamma di Giordana Di Stefano che, da quella notte di sei anni fa, non ha mai smesso di lavorare sul suo lutto, affinché l’esperienza di sua figlia diventi utile ad altre ragazze. E anche ai ragazzi, da cui è necessario partire per affrontare un problema che è innanzitutto culturale.

Giordana e Vanessa. Due storie con troppi punti in comune…
«Sono state due ragazze molto giovani che hanno avuto il coraggio di denunciare e hanno riconosciuto la violenza. Perché denunciare significa questo: riconoscere di avere subito violenza. Purtroppo, però, le loro denunce sono state sottovalutate, ma soprattutto sono stati sottovalutati i maltrattanti, perché è da loro che dobbiamo partire, è loro che dobbiamo fermare prima che sia troppo tardi».

Per questo, ormai da sei anni, lei continua la sua opera di sensibilizzazione nelle scuole. Che impressione ha?
«Sono convinta che parlarne possa aiutare i giovani a prendere coscienza del fenomeno. Quando vado nelle scuole, io racconto una storia vera, una tragedia accaduta davvero, affinché le ragazze imparino a riconoscere la violenza. Ma mi rivolgo sempre anche ai ragazzi, specificando che non credo siano tutti assassini, gli uomini buoni esistono. Racconto loro il profilo dell’assassino, sperando che quanti ci si riconoscono possano ravvedersi e farsi aiutare». 

Un’autoanalisi difficile per un fenomeno troppo spesso spiegato con parole come gelosia o raptus. Secondo lei c’è ancora un problema di consapevolezza anche tra gli adulti?
«A mio avviso bisogno fare dei corsi di formazione rivolti a chi ha il dovere di affrontare queste denunce, quindi la magistratura, gli psicologi, gli assistenti sociali, cioè far loro comprendere che un omicidio e un femminicidio sono assolutamente diversi. Il femminicidio ha delle dinamiche ben precise e sempre uguali, e chi deve giudicare e applicare la legge, con gli arresti domiciliari o gli ammonimenti, deve comprendere che quelle persone sono imprevedibili, possono uccidere e a volte non bastano questi strumenti. Dobbiamo fermarli nella sostanza, un foglio di carta non ferma un maltrattante».

È andata alla fiaccolata a Trecastagni in memoria di Vanessa e contro la violenza sulle donne?
«Sono andata e sono stata in silenzio, semplicemente perché ritengo che la vicinanza di una persona che ha vissuto lo stesso orrore possa dare una forma di coraggio. Ho chiesto della madre di Vanessa a una persona che la conosce direttamente, le ho lasciato il mio numero e la disponibilità a incontrarla quando lei vorrà. Perché condividere un dolore può essere anche una condivisione di forza. E io penso che noi possiamo aiutarci».


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