Covid-19, il vero viaggio della Renault 4 da Napoli a Catania «Non siamo turisti, solo qui possiamo tutelare noi e gli altri»

Li hanno chiamati «
vacanzieri provenienti dalla Francia», sfuggiti a ogni controllo delle forze dell’ordine in piena pandemia. Quando andava bene. Per altri sono dei «pericolosi untori» e c’è persino chi – come il sindaco di Messina Cateno De Luca – si è spinto fino a divulgare i loro dati personali su Facebook. Tutta colpa della loro Renault 4, casa in movimento piena di bagagli, che dava nell’occhio più degli altri mezzi di rientro in Sicilia ed è ormai diventata il simbolo di questa storia. Fotografata in fila agli imbarcaderi di Villa San Giovanni e ripresa in autostrada da automobilisti indignati. «Com’è possibile attraversare l’Italia del tutti a casa?». A fare il resto ci hanno pensato alcuni titoli di giornali: «A spasso per le zone rosse» e «Controlli bucati sullo Stretto». Ma cosa c’è davvero dietro quel mezzo? Per capirlo siamo andati a parlare direttamente con i protagonisti, dalla finestra della loro quarantena, non solo imposta ma preventivata e voluta.

In una casa nemmeno troppo grande si trovano
sette persone di tre nazionalità diverse, sei cani e una bambina. A portare loro la spesa, a partire da oggi, ci penserà la Caritas. Tra un controllo e l’altro: prima dei vigili urbani e poi dei carabinieri. «Non è tanto per voi, è che siete diventati un caso nazionale», quasi si scusano. Finita la conta, un po’ in italiano e un po’ in inglese, è l’ora delle informazioni sulla quarantena obbligatoria ma anche dei recapiti di telefono in caso di necessità. «Alcuni vicini all’inizio si sono spaventati e ci hanno urlato delle cose poco gentili, ma la maggior parte ha capito». A parlare è Boris, spagnolo-argentino arrivato nel Catanese a dicembre con la moglie e la figlia «per fuggire alla crisi del nostro Paese e cercare di vivere in un posto tranquillo». Come artista di strada e tatuatore. «Abbiamo messo da parte un po’ di risparmi, che adesso però stanno per finire perché, con questa situazione, non si può lavorare». E anche perché parte di quei risparmi sono stati usati proprio per aiutare gli amici della Renault 4.

Prima di loro, però, a casa di Boris erano arrivati qualche mese fa
il fratello e la compagna tedesca. «È stata una sorpresa, non ci vedevamo da un anno – racconta il ragazzo – Poi anche a loro è piaciuto qui e hanno deciso di fermarsi». Intanto è scoppiata la pandemia. E altri tre amici francesi, Arturo, Angelino e Morgan, si trovano nei guai. «Non siamo vacanzieri, questo deve essere chiaro: siamo artisti di strada anche noi, viaggiamo e viviamo in macchina», racconta Angelino. Un nido mobile, per loro, ma pur sempre non adatto a rispettare un decreto che impone di stare a casa, in un domicilio fisso. «Una regola seria e importante, per proteggere noi stessi e gli altri», ripete spesso Angelino che, se non fosse diventato un caso nazionale al contrario, sarebbe un perfetto testimonial per il governo. Tornare in Francia, senza soldi, con il cane e senza poter abbandonare l’auto, non era una strada praticabile. L’unica via, spiegano, era raggiungere la casa di Boris, che ha offerto la sua ospitalità alla comitiva e inviato loro il denaro necessario per la benzina. Ma il viaggio non si è limitato ai quasi 600 chilometri necessari.

«
Ai traghetti ci sono molti controlli e, la prima volta, ci hanno cacciato senza però spiegarci cosa dovevamo fare – ripercorre Angelino – Sono passati due o tre giorni di chiamate al consolato e alla polizia, cercando un posto dove dormire, in montagna, nella natura, il più isolato possibile dalla gente. Ma nonostante questo qualcuno chiamava i carabinieri che ci facevano spostare». In Campania, i ragazzi vengono anche portati in ospedale dai carabinieri e visitati. «Sono sani, non hanno nessun sintomo e non c’era motivo per trattenerli», confermano a MeridioNews dall’ospedale San Luca del Cilento. Così, ritentano la traversata. «In Calabria abbiamo trovato dei poliziotti gentili, che ci hanno spiegato come compilare i documenti per bene e hanno capito che la nostra era una questione di sopravvivenza, non un capriccio». Ma a quel punto la loro Renault 4 è già famosa e le voci si diffondono veloci. Non sempre vere, ma comunque più rapide del loro arrivo alla loro casa temporanea. «Adesso siamo come in prigione, ma siamo in famiglia e non c’è niente di più importante», sorride Boris. «È il momento di rispettare le regole ed essere solidali perché, in questa emergenza, la cosa importante è assicurarsi che tutti abbiano una casa in cui stare. Dovunque sia. Noi siamo francesi, ma siamo anche esseri umani».


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