Cherubino, i motivi del ritorno in carcere di D’Emanuele Dall’ipotesi servizi sociali alla sua presunta pericolosità

Esecuzione pena. Due parole che finiscono affiancate ancora una volta al profilo di Andrea Sebastiano D’Emanuele. Condannato a quattro anni in via definitiva per illecita concorrenza, nell’ambito del processo Cherubino. Di ieri la notizia del suo nuovo arresto, operato dagli agenti della Squadra mobile di Catania. All’uomo, 38 anni, figlio del boss di Cosa nostra Natale D’Emanuele, restano da scontare tre anni, sette mesi e 27 giorni di carcere.

La sua è vicenda giudiziaria articolata, che affonda le radici nel triennio 2005-2007. Periodo in cui la procura etnea, con i magistrati Iole Boscarino e Giuseppe Gennaro, focalizza gli sforzi sul business delle onoranze funebri e il monopolio della famiglia D’Emanuele, imparentanta con lo storico boss mafioso Nitto Santapaola e capace di organizzare un giro d’affari con la complicità di alcuni infermieri dell’ospedale Cannizzaro. Chiamati a consigliare i parenti dei defunti per le sepolture. 

Il processo di primo grado finisce nel 2012 e la pena più dura è quella per il capostipite Natale D’Emanuele, 21 anni. Il figlio Andrea viene ritenuto colpevole di associazione mafiosa e la corte, presieduta dal giudice Alfredo Cavallaro, gli infligge 13 anni di carcere. In Appello lo schema viene ribaltato: per D’Emanuele senior cade l’aggravante dell’associazione armata, mentre il figlio non viene più riconosciuto come associato alla famiglia mafiosa di Catania. Per i giudici, attraverso l’impresa di famiglia, avrebbe portato avanti una concorrenza illecita nel settore del caro estinto. Motivo per cui viene condannato a quattro anni. Nove in meno rispetto alla prima sentenza.

Trascorsi circa venti giorni in custodia cautelare, a ridosso dell’operazione della Direzione distrettuale antimafia risalente al 2010, D’Emanuele junior torna in carcere il 6 gennaio 2018. Dopo che i giudici della corte di Cassazione dichiarano inammissibile il ricorso presentato dai suoi avvocati. Nella casa circondariale di piazza Lanza però ci resta meno di quattro mesi. In quel periodo a intervenire a livello giurisdizionale è la riforma del sistema penitenziario sulle pene alternative. Così per chi ha un residuo di pena fino a quattro anni come nel caso di D’Emanuele c’è possibilità di scontare la condanna lontano dal carcere.

Grazie a una istanza, accolta dalla procura generale, arriva la scarcerazione. E per il 38enne, intanto, viene meno anche la pericolosità sociale, riconosciuta dai giudici nell’ambito di un processo davanti il tribunale misure di prevenzione. La vicenda arriva a un punto di non ritorno lo scorso 6 marzo. Quando il tribunale di Sorveglianza rigetta la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali. Decisione, secondo quanto trapelato da fonti giudiziarie, che sarebbe motivata da una vecchia nota della questura che ritiene Andrea D’Emanuele a un livello di media pericolosità sociale. Motivo per cui deve fare ritorno in carcere. Adesso, con ogni probabilità, la palla passerà alla corte di Cassazione


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