La Sicilia, si dimettono Ciancio e il figlio Domenico Tra ipotesi continuità e il sogno della società civile

«La grande incognita». Si potrebbe riassumere con questa espressione, presa in prestito proprio da un editoriale di Mario Ciancio Sanfilippo risalente al 1992, l’attuale condizione del quotidiano La Sicilia. Travolto, insieme ad altri beni riconducibili all’imprenditore, editore e direttore della testata, da un provvedimento patrimoniale di confisca di primo grado emesso dal tribunale di Catania. Dietro la misura – per un totale di 31 società, partecipazioni in altre sette e un valore di 150 milioni di euro – c’è un lungo lavoro dei magistrati. Gli stessi che da dieci anni hanno messo sotto la lente d’ingrandimento il potente uomo d’affari e trent’anni d’informazione. Arrivato a processo, nonostante un discusso avvio con una richiesta d’archiviazione, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Un colpo di scena superato solo dalle dimissioni di oggi: dopo più di quarant’anni, non sarà più Mario Ciancio a guidare La Sicilia. E nemmeno il figlio Domenico, nominato condirettore quasi tre anni fa. A prendere il loro posto sarà Antonello Piraneo, fino a oggi caporedattore.

La domanda, a cui per il momento nessuno è in grado di fornire una risposta sicura, è soltanto una: cosa ne sarà de La Sicilia? È la prima volta, da quando esiste la legge Rognoni-La Torre, che un quotidiano finisce in amministrazione giudiziaria. A Catania, come nel resto dell’Isola, la creatura di Ciancio, nonostante la crisi dell’editoria, occupa ancora una posizione privilegiata nel panorama dell’informazione. Gli appelli in queste ore non sono mancati. Dall’ordine dei giornalisti di Sicilia fino alla Federazione nazionale stampa italiana. Un coro unanime di «preoccupazione per il futuro della testata e dei posti di lavoro». Da altri fronti, invece, c’è una speranza diversa. Il megafono della società civile sogna una sorta di passaggio popolare del quotidiano di via Odorico da Pordenone. Niente più centro d’interessi dalle cui porte sono passati dal boss Pippo Ercolano Giulio Andreotti, ma una stampa dal basso fatta da chi quel sistema l’ha sempre combattuto. Claudio Fava sulla vicenda non ha usato giri di parole: «Si affidi la testata ai giornalisti siciliani che in questi anni hanno cercato e raccontato le verità sulle collusioni e le protezioni del potere mafioso al prezzo della propria emarginazione professionale, dei rischi sofferti, della solitudine». Il pensiero va a Riccardo Orioles, storico collaboratore del giornalista Giuseppe Fava e oggi anima de I Siciliani giovani, che per primo ha sognato una consegna del giornale ai cittadini.

I primi capitoli del futuro del quotidiano li scriveranno certamente gli amministratori giudiziari. Saranno in due, Luciano Modica e Angelo Bonomo, a traghettare aziende e giornale nei prossimi mesi. In attesa di un sicuro ricorso in Appello della difesa del direttore. Per il momento, quasi certamente non si assisterà a una rivoluzione dello stato delle cose. Con le dimissioni di Ciancio e del figlio, il loro posto va a Piraneo, interno alla redazione e vicino alla direzione, ma non troppo. La comunicazione è stata data dal legale di Ciancio, Carmelo Peluso, durante una riunione serale di giornalisti e tecnici – sono confiscate anche le televisioni Telecolor e Antenna Sicilia – che si sono visti in redazione per fare il punto e capire come una struttura simile possa continuare a camminare senza l’uomo che finora ne ha retto le sorti. Adesso toccherà gli amministratori confermare o meno la guida di Piraneo, ma in ogni caso da loro non ci si aspetta una scelta rivoluzionaria. Anche e soprattutto per le questioni giudiziarie ancora in corso.

Davanti all’editore, infatti, restano aperte due strade. La prima è quella che lo vede imputato per concorso esterno a Cosa nostra. Per la procura, almeno nella fase iniziale, Ciancio avrebbe messo a disposizione aziende e potere alla famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano. Adesso, con il processo in corso, le carte in tavola sembrano essere cambiate. E questo potrebbe avere portato i magistrati a puntare il dito in maniera così diretta contro il patrimonio dell’editore. C’è poi questo procedimento che mette in mezzo anche i fondi che Ciancio deteneva in Svizzera e che avrebbe tentato di fare rientrare in Italia negli anni scorsi.  Dal canto suo l’ex monopolista dell’informazione non ha dubbi: «Non ho mai avuto alcun tipo di rapporto con ambienti mafiosi e il mio patrimonio è frutto soltanto del lavoro di chi mi ha preceduto e di chi ha collaborato con me».


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