Depositate le motivazioni della sentenza di primo grado. Si tratta di una costola dell'indagine principale che ha coinvolto la nota famiglia degli imprenditori etnei dei Bosco. Al centro della vicenda la storia di tre imprenditori che dopo anni di ritorsioni hanno avuto il coraggio di denunciare i loro aguzzini
Processo Money lender, minacce, soldi e usura Il dialogo: «Accusì l’interesse aumenta chiossai»
Un giro di minacce e usura emersi da una costola dell’indagine ribattezza Money lender. Quella che ha coinvolto la famiglia Bosco, i noti imprenditori catanesi attivi da anni nel settore della ristorazione e dei supermercati. A raccontare questo filone processuale, svoltosi con il rito abbreviato in primo grado, sono le motivazioni della sentenza di condanna di un gruppo di presunti strozzini. Le manette sono scattare dopo la denuncia di tre imprenditori. Tra loro c’è anche Salvatore Fiore, il costruttore di Belpasso che ha raccontato la sua storia attraverso le pagine di MeridioNews. Nelle 81 pagine della sentenza, firmata dalla giudice Francesca Cercone, il motivo conduttore che viene seguito è quello del denaro. Una montagna di soldi che sarebbero stati prestati con tassi usurai variabili. Le condanne sono state inflitte a Francesco Agnello (10 anni e 4 mesi), Santo Condorelli (5 anni e 8 mesi), Luciano Maci (6 anni e 4 mesi), Giuseppe Emilio Platania (5 anni e 4 mesi) e Massimo Squillaci (5 anni e 4 mesi).
Nel 2008 a fare da intermediario per la concessione di un prestito all’imprenditore etneo sarebbe stato un altro impresario, titolare anche di un’agenzia di viaggi. L’uomo avrebbe versato la somma di diecimila euro con una tasso d’interessi stabilito al dieci per cento. Soldi che la vittima avrebbe poi dovuto restituire a rate. Dietro il presunto usuraio, secondo la ricostruzione degli investigatori, ci sarebbe stato Francesco Agnello. Una delle figure chiave del processo, ritenuto vicino al clan mafioso dei Cursoti di via Plebiscito e dipendente, attualmente sospeso, del ministero della Giustizia.
Tra gli aneddoti che vengono ripercorsi nel documento c’è pure un tentativo di sequestro di persona. Reato poi derubricato in violenza privata. Nell’estate del 2009 Agnello, accompagnato da Luciano Maci e Santo Condorelli, si reca sotto la casa di Fiore. Il telefono dell’imprenditore squilla e il messaggio dei suoi aguzzini non lascia spazio a interpretazioni: «Sono qui sotto, se vuoi scendere. C’è qui una ragazza e mi ha detto che è tua figlia». La conversazione prosegue con una bambina che chiama il padre. Il genitore in questione però è quello sbagliato. I tre imputati si rendono conto solo in corso d’opera di essere incappati in uno scambio di persona. L’imprenditore incontra i suoi creditori qualche giorno dopo ma le richieste continuano: «Accusì l’interesse aumenta sempre chiossai… Pi mia ti po teneri tutta a vita, basta chi mi runi l’interesse ogni misi», gli dice a bassa voce uno degli imputati senza sapere di essere intercettato.
Le intimidazioni proseguono infatti anche quando la vittima sceglie di denunciare. Il 29 dicembre 2009 l’imprenditore registrava con un dispositivo un faccia a faccia con Agnello. L’imputato spiegava che «avrebbe mandato altri a riscuotere il credito». Riferimento, secondo gli investigatori, «alla cointeressenza nella vicenda di soggetti appartenenti ad organizzazioni criminali notoriamente mafiose». Per la giudice non ci sarebbero dubbi, il comportamento degli imputati «ha avuto chiari ed evidenti finalità intimidatorie».
Per chiarire e recuperare i soldi del debito con Fiore, Agnello avrebbe sguinzagliato anche l’altro imputato. Nella vicenda fa così la sua comparsa Massimo Squillaci. Quest’ultimo, secondo gli inquirenti, appartenente al clan mafioso dei Martiddina di Piano Tavola. Durante un incontro non sarebbero stati utilizzati giri di parole, l’uomo avrebbe fatto presente alla vittima che il suo compito era recuperare soldi. «Mi dicevano – racconta l’imprenditore agli agenti – che avevo trovato degli amici per qualunque problema a Catania. Era chiara la loro volontà di farmi capire che la loro posizione aveva molta rilevanza nell’ambito malavitoso». In attesa del processo in Appello sono stati riconosciuti i risarcimenti per le parti civili. Oltre agli imprenditori vittime, nell’elenco ci sono il Comune di Catania e quelli di Sant’Agata li Battiati e Camporotondo Etneo,le associazioni di categoria Fai Federazione delle associazioni antiracket e antiusura, Associazione antiracket e antiusura etnea, Obiettivo legalità associazione antiracket e associazione Codici onlus.