Nuova udienza al tribunale di Catania per decidere se l'editore e direttore del quotidiano La Sicilia dovrà essere processato per concorso alla mafia. Tra affari e libertà d'informazione. Il legale dell'imprenditore commenta: «Contesteremo tutto, sono storie di mafia opposte al suo mondo»
Caso Ciancio, l’accusa ripercorre le prove «Un quadro inquietante e sconvolgente»
Mario Ciancio Sanfilippo deve essere processato per concorso esterno in associazione mafiosa. A esserne convinti, sostenendo l’accusa davanti la giudice per l’udienza preliminare Gaetana Bernabò Distefano, sono i magistrati della procura di Catania Antonino Fanara e Agata Santonocito. L’accusa è stata impegnata in una requisitoria lunga e complessa, durata quasi tre ore, dove sono stati passati in rassegna i 47 faldoni che contengono tutte le accuse all’imprenditore catanese. Secondo i pm, il direttore ed editore del quotidiano La Sicilia sarebbe stato, almeno per un decennio, al centro di un vero e proprio sistema che racchiude gli interessi convergenti di imprenditori, politici e boss di Cosa nostra. «Un quadro assolutamente inquietante e sconvolgente» lo definisce l’avvocato Dario Pastore. Il legale, che rappresenta in aula l’ordine dei giornalisti di Sicilia, ha fatto riferimento – pur non entrando nei dettagli – «a quella che è stata la libertà d’informazione di questa città, le iniziative imprenditoriali che riguardano Catania e provincia e le commistioni con la politica».
L’impostazione accusatoria scelta dai magistrati etnei, nell’udienza a porte chiuse, passa in rassegna affari vecchi e nuovi legati all’imputato. Dai centri commerciali fino all’affare del Piano urbanistico attuativo lungo il litorale della Playa di Catania. Un progetto da 500 milioni di euro che rientra in un’area dove circa il 30 per cento dei terreni sono di proprietà dell’editore. Ci sono poi i numerosi passaggi già citati nella sentenza di condanna in primo grado di Raffaele Lombardo. Un documento di 325 pagine dove il cognome di Ciancio, pur non essendo imputato in quel processo, occupa numerosi paragrafi. Compreso quello in cui viene inserita un’intercettazione del luglio 2008: nello studio del direttore le cimici captano le voci dei protagonisti di una riunione in cui si chiede l’intercessione dell’allora governatore regionale per «ammorbidire ma non in denaro i dirigenti» del Comune di Catania. La vicenda amministrativa riguarda una variante alla concessione edificatoria per il centro commerciale Porte di Catania da realizzare in alcuni terreni di Ciancio.
Carmelo Peluso – scelto dall’imprenditore come legale insieme a Giulia Bongiorno – commenta a margine dell’udienza la requisitoria dell’accusa: «Abbiamo seguito con attenzione la ricostruzione dei pm e certamente la contesteremo, dicendo le cose come stanno. Voglio precisare che qui nessuno stabilirà se Ciancio è colpevole o meno, in questa sede si decide se ci sono le basi per sostenere un processo». L’avvocato si dice inoltre sicuro «dell’infondatezza delle accuse: abbiamo sentito storie di mafia che si collegano a mondi diametralmente opposti a Ciancio».
Nel procedimento sono stati ammessi come parte civile, assistiti dall’avvocato Goffredo D’Antona, anche Dario e Gerlando Montana, fratelli del commissario di polizia Beppe Montana ucciso dalla mafia. Nel 1985, tre mesi dopo l’omicidio, il padre della vittima chiede al quotidiano La Sicilia di pubblicare un necrologio. Poche parole, in cui la famiglia rinnova «ogni disprezzo alla mafia e ai suoi anonimi sostenitori». Quel messaggio, però, non viene pubblicato per la mancata autorizzazione di Ciancio. Solo uno dei casi contestati all’editore e direttore che riguardano la linea editoriale del principale giornale cartaceo della Sicilia orientale.