Da Bruxelles soldi per tutti (tranne che per l’Italia)

Nei mesi scorsi abbiamo visto e provato, “dati alla mano”, che la pubblica amministrazione sia essa comunale, regionale o nazionale, è caratterizzata da sprechi e sperperi di denaro proveniente da tasse e gabelle imposte ai cittadini dietro la maschera della “gestione delle cosa comune”.

Da un’analisi più ampia, è apparso che tale spreco di denaro pubblico non è prerogativa solo del nostro Paese o di molte Regioni d’Italia (Sicilia inclusa) ma, nel corso degli anni, si è esteso all’Unione Europea. Per questo motivo sarebbe utile, visto che alla fine coloro i quali vengono privati di più della metà dei propri guadagni, sono sempre i contribuenti, che questi, anche nella veste di elettori, sapessero in che modo vengono usate dall’Unione Europea queste somme. Inoltre, dato che le problematiche in questo caso sono diverse e i punti da approfondire sono numerosi, abbiamo ritenuto opportuno suddividere questa materia in più puntate.

Innanzitutto, è bene ricordare che le entrate dell’Unione Europea derivano non solo dai contributi dei vari Paesi membri, ma anche da dazi all’importazione sui prodotti provenienti dall’esterno dell’Unione e da una percentuale dell’Iva riscossa da ciascun Paese.

Negli ultimi anni le entrate dell’Unione Europea sono state pari a circa 142 miliardi di euro annui. Somme che dovrebbero essere spese per migliorare le condizioni di vita dei cittadini e delle comunità locali dell’UE e, in particolare, delle Regioni e delle categorie sociali meno ricche, o destinate a creare posti di lavoro e a stimolare la crescita in tutta l’Unione.

La decisione su quanto e come debba essere speso dall’Unione Europa dovrebbe seguire una procedura democratica basata sulle proposte della Commissione europea e approvate dai rappresentanti eletti al Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea.

Dopo che le somme sono state utilizzate, la Commissione deve rendere conto al Parlamento europeo di come è stato speso il denaro stanziato e le spese devono essere sottoposte al controllo della Corte dei conti europea.

In teoria, le somme in bilancio dovrebbero servire, principalmente (45%), a rendere l’UE più competitiva e a promuovere lo sviluppo nelle Regioni e nei Paesi più poveri (“coesione”); il 31% dovrebbe essere costituito da stanziamenti a favore degli agricoltori europei e l’11% è stanziato a favore dello sviluppo rurale.

La distribuzione di queste risorse ai singoli Stati e alle singole Regioni dovrebbe avvenire anche tenendo conto delle differenze tra le singole aree dell’Unione Europea con lo scopo di favorire la crescita delle zone più svantaggiate.

L’ ‘Obiettivo Convergenza’ prevede, infatti, che agli Stati membri e alle Regioni il cui Pil pro capite è inferiore al 75% della media comunitaria sia destinato l’81,54% dalle risorse complessive dei Fondi strutturali; ciò al fine di accelerare la convergenza degli Stati membri e delle Regioni in ritardo di sviluppo, accelerandone la crescita e l’occupazione.

Per l’Italia, le regioni che beneficerebbero di questa condizione sono Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, a cui si aggiunge la Basilicata ammessa a titolo transitorio.

Qui cominciano i problemi. In realtà, da uno studio dell‘Eurispes, a seguito di una interrogazione al Parlamento Europeo relativa ai contributi versati e ricevuti dall’Italia nel 2008, è emerso che, nel periodo compreso tra 1995 e il 2006 (ovvero nel periodo in cui il Prof. Mario Monti ricopriva l’incarico di commissario europeo), l’Italia ha ricevuto dall’Unione Europea meno soldi di quanti ne abbia dati prelevandoli dalle tasse degli italiani (135 miliardi di contributi versati al bilancio UE e 105 miliardi riavuti in finanziamenti) con un saldo negativo di ben 30,3 miliardi di euro.

Tale situazione si è poi ripetuta nel 2007 e poi ancora nel 2008 (risorse versate dall’Italia 15.144,5 milioni di euro, contro i 10.306,4 ricevuti) e nel 2009 e così via. (sopra, a sinistra, foto tratta da ricostruiamoitalia.it)

In altre parole, l’Italia e le sue regioni “Obiettivo Convergenza”, in teoria, avrebbero dovuto ricevere maggiori risorse per favorire la crescita e lo sviluppo. Invece negli ultimi decenni sono state tartassate di tasse (mediamente per 4.800 milioni di euro all’anno) per coprire il disavanzo da versare all’Unione Europea.

Secondo quanto riportato sul sito ufficiale dell’Unione Europea (http://ec.europa.eu/economy_finance/ focuson/crisis/index_en.htm), “da quando è scoppiata, nel 2008, la crisi economica mondiale ha richiesto interventi energici e ripetuti da parte dei Governi dei Paesi UE, della Banca centrale europea e della Commissione. Tutti questi attori hanno collaborato per sostenere la crescita e l’occupazione, tutelare i risparmi, mantenere un flusso di credito accessibile per le imprese e le famiglie, garantire la stabilità finanziaria ed istituire un sistema di governance migliore per il futuro”.

Bel modo di promuovere la crescita e la stabilità finanziaria di un Paese in crisi come l’Italia, quello di prelevare dalle tasche dei suoi cittadini quasi 5 miliardi di euro all’anno!

Ma la cosa più interessante è vedere come, in barba a studi, analisi e discorsi sulla “teoria dello sviluppo economico” dell’Europa, i soldi dei contribuenti sono stati utilizzati per finanziare iniziative a volte sorprendenti.

Ad esempio, l’istituto dell’Unione Europea che si occupa di finanziamenti, la Banca Europea per gli Investimenti, BEI, ha concesso alla Cina un prestito da 500 milioni di euro per aiutarla ad arginare gli effetti del cambiamento climatico attraverso investimenti nelle energie alternative e per migliorare l’efficienza energetica. L’accordo è una conseguenza di un prestito iniziale di 500 milioni di euro offerto alla Cina nel 2007.

Quale è stato il beneficio per i cittadini dell’Europa di questa azione? Nessuno. Infatti, nonostante quanto affermato dal vice-presidente della Banca, Magdalena Alvarez Arza, secondo la quale “tutti i progetti che hanno beneficiato della prima tranche del prestito hanno ottenuto come risultato una riduzione di tre milioni di tonnellate di anidride carbonica l’anno”, la Cina, il mese scorso, ha ammesso di essere quello, tra tutti i Paesi del mondo, che emette più gas nocivi che provocano il riscaldamento del pianeta, ma al tempo stesso, in barba al motivo per cui aveva ricevuto il cospicuo finanziamento da parte dell’UE, ha ribadito la propria intenzione di mantenere alto il livello di emissioni considerata la crescita dell’economia.

Nel periodo 2007-2013, l’Unione Europea ha concesso“aiuti” per oltre 308 miliardi di euro, spesso anche a chi non aveva tirato un solo euro per far parte dell’Unione. Da una ricerca condotta da La Repubblica emerge che sono stati erogati 500 mila euro per realizzare sondaggi d’opinione sullo stato dell’economia in Islanda e Serbia (che come è noto non fanno parte dell’UE), oppure per favorire l’inserimento al lavoro in Cambogia (3,9 milioni di euro), fino a vere e proprie assurdità come i 600 mila euro utilizzati per finanziare “la sensibilizzazione dei diritti sessuali e riproduttivi nel Burundi” o i 2,6 milioni di euro destinanti a iniziative a favore dei disabili in Turchia (che non fa ancora parte dell’Unione Europea e che forse non ne farà mai parte). E come sono state finanziate queste iniziative? Anche grazie alle risorse prelevate, anno dopo anno, dalle tasche degli italiani.

Ma non basta. Come vedremo nelle prossime puntate, l’Unione Europea, dallo scorso luglio, si è riservata il diritto di prelevare le somme da utilizzare nel modo visto sopra, e tutte quelle che eventualmente alcuni Paesi dell’UE non saranno capaci di versare nei tempi e nei modi previsti, agendo direttamente sulle risorse auree e sul debito pubblico dei singoli Stati! E senza che nessuno degli esemplari di HOMO POLITICUS che affollano il Parlamento nazionale (Camera dei deputati e Senato della Repubblica) abbiano messo in guardia i cittadini del rischio che questa decisione comporterà…

(Fine della 1° puntata-continua)

 


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