Il sud-est siculo minacciato dal briatorismo: ridateci i saccopelisti, aspettando l’Apocalisse

Ma non si parlava, tipo, di turismo sostenibile, eco bio qualcosa? No perché mi pareva di avere sentito che eravate diventati sensibili alla questione ambientale e che vi piaceva, tipo, andare nella natura, immergervi nella ruralità, preoccuparvi dell’apocalisse solare. Probabilmente avrò capito male.
Qui, nel sudest siculo, fino a non molto tempo fa, ricordo un turismo davvero di nicchia, davvero alternativo, davvero che ti compravi un pareo a maggio e a ottobre te lo toglievi stracatafottendotene di tutto e di tutti. Adesso pare che siamo a Stoccolma.
Premetto, non ho niente contro il lusso. (Non è vero, il lusso moderno è uno scandalo. Ci fu un tempo in cui il lusso era al servizio di una idea, per così dire, diplomatica e in qualche maniera sapienziale. Esso era rappresentanza di un Piano. Oggi il lusso rappresenta solo se stesso – ossia il Capitale – e infatti è un lusso da rappresentanti). Non ho niente contro chi porta denaro e lavoro edilizio e muratura e sfinteri idraulici. Non ho niente contro chi non ha niente se non il design (il design non è né stile né forma – se stile e forma facevano parte di un Disegno, ossia di un Sistema, il design fa parte di un disegnino, di uno scarabocchio).
Ma mi sembra che qui si esagera. Mi sembra che il briatorismo la stia facendo da padrona in una zona che in qualche maniera resisteva.

Ho letto da qualche parte che pochi giorni fa Flavio Briatore era a Lampedusa e che ha fatto molte foto della cosiddetta Tabaccara. Chi scriveva l’articolo era molto entusiasta: sembrava sperasse che Briatore ci piazzasse quantomeno un Twiga.
Ovviamente la ruralità bestiale non è tutta rose e fiori, anzi, spesso è letame e alcol scadente. Ma mi sembra che invece di trovare un equilibrio tra i due estremi qui la situazione si stia polarizzando: da un lato la povertà schiavista dei contadini che zappano, dall’altro le minchiatone col botto dei resort e delle villazze arrinisciute. Forse – levateci pure il forse – l’unico punto di contatto tra i due mondi è la cocaina.
Il sudest siculo, in cui una volta si mischiava l’antica nobilità con un turismo consapevole, in cui tutto era così lento che a volte sembrava fermarsi, sta per diventare (o lo è già diventato) preda di serate e gourmet e spacchioepiriti.

A volte passano coppie di tedeschi. In bicicletta. Con il sacco a pelo. Hanno libri negli zaini. Sandali sportivi ai piedi. Hanno gli occhi colmi delle nostre vallate ombrose, dei nostri fiumi, dei nostri sentieri nei quali, all’improvviso, si aprono scenari archeologici. Voglio dire, chi mi segue sa il mio odio verso questa visione del mondo goethiana, questa supponenza tutta germanica di volere spiegare il neoclassico a noi che siamo classici. Ma tra i tedeschi un po’ naive e questi metrosexual impazziti convinti di essere versaillesiani mentre sono solo neovillani (da nuovi proprietari di ville) non ho dubbi.
Voglio i saccopelisti.
Voglio qualcuno che guardi il sudest siciliano e lo veda per quello che è: una delle ultime apparizioni del mondo prima che tutto scivoli, inevitabilmente, verso la catastrofe finale e desertica che ci attende.
Perché anche l’Apocalisse ha un suo fascino. Anzi, non c’è niente di più bello.
Bisogna solo decidere se dimenticarsene mentre ci si incenerisce con un flute in mano, o se contemplarla in un sacco a pelo respirando il profumo che fu.
Prima che scompaia.


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