Ramzi Harrabi, un «mediatore di popoli» a Siracusa «Io, clandestino, ho trovato il mio riscatto nell’arte»

Ramzi Harrabi vive da diversi anni a Siracusa e si prodiga per il dialogo tra le culture riuscendo a superare, con i linguaggi dell’arte, le barriere della diffidenza e del pregiudizio. Attivista, docente, mediatore culturale, presidente della Consulta Immigrati e interprete della commissione rifugiati; oggi il giovane tunisino spazia dai testi poetici alla creazione di opere artistiche, fino alla composizione di musiche dai ritmi esotici. Eppure, quando arriva nel 2000 in Sicilia è solo un immigrato. Sogna di entrare nella squadra locale di calcio del Leonzio, ma il suo visto tedesco è scaduto. Si ritrova irregolare, senza un lavoro, né una casa. Non è più una promessa del calcio ma un clandestino.

Proprio quando il destino sembra avergli giocato un brutto tiro mancino, la vita lo sorprende nuovamente. «Quando tutto mi sembrava ormai perduto – racconta a Meridionews ho imparato a puntare sulle mie capacità artistiche e intellettuali. Io, immigrato clandestino, ho trovato il mio riscatto nell’arte».

Spirito nomade alla ricerca della propria identità, l’artista tunisino è convinto della spiazzante funzione profetica dell‘arte e sente la necessità di mettere a disposizione la sua storia personale degli altri migranti. «Sono un’anima migrante perché ogni percorso migratorio, prima di farsi viaggio fisico, inizia dentro di noi», spiega. Le sue opere artistiche contribuiscono a riportare il fenomeno dell’immigrazione ad una condizione umana; trasforma i materiali-oggetto dei migranti in produttori di memoria e di nuovi significati. «Viviamo in una società in cui i migranti sono numeri e non persone. Bisogna riconnettersi con la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo».

Harrabi investe le sue energie in vari progetti per educare al dialogo interreligioso e alle politiche dell’accoglienza. Il progetto Anime migranti rende omaggio a chi attraversa il Mediterraneo attraverso l’esposizione degli oggetti personali recuperati tra i resti dei barconi approdati sulle coste siciliane. Il ricavato delle opere vendute durante la rassegna è destinato all’acquisto di un terreno agricolo che sarà autogestito da rifugiati. Successivamente, gli ortaggi coltivati saranno venduti dagli stessi migranti ai consumatori durante la fiera settimanale. «Un progetto – racconta Harrabi – all’insegna dell’autofinanziamento e dell’autogestione che si propone di far emergere i migranti dalla clandestinità e dall’emarginazione attraverso il lavoro». Oltre il singolo progetto, l’Intercultural Studies Center di cui Harrabi è direttore organizza corsi d’italiano, calcetto e attività culturali. 

Lui si definisce un «mediatore di popoli». Sensibilità che si riflette nella sua musica. «Quando ti trovi a dover lasciare la tua terra – confessa – non puoi portare con te più di qualche valigia. Il resto devi lasciarlo lì. Una cosa che invece ti può accompagnare sempre è la musica. Fa parte del viaggio – conclude -, tiene uniti i popoli e li fa integrare con quelli che li ospitano». 


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