Il commento adeguato per la partita di questo pomeriggio (Catania 0, Carpi 2, al Massimino) sarebbe, a tutti gli effetti, una pagina bianca. Bianca come erano oggi le tribune del Massimino, lavate a lungo da una pioggia triste e livida. Una pagina con meno macchie d’inchiostro di quante ne disegnassero oggi, sulle righe degli spalti, gli sparuti capannelli di tifosi seduti in tribuna.
Pioveva. E la pioggia in questo stadio è spesso impregnata di ricordi dolcissimi. Uno su tutti: il cucchiaio di Mascara a Julio Cesar, il Catania che travolge l’altrimenti imbattibile Inter di Mourinho, nell’anno del triplete della Beneamata, e di uno dei tanti record di punti infilati dalla nostra squadra. Ricordi. Che oggi ci tornano indietro spietati, a marcare più forte il contrasto con il nulla del Catania di adesso. Il Catania che contro il Carpi ha recitato, nell’ultima del girone d’andata, il copione già scritto di uno scontro tra testa e coda. Un copione che, alla vigilia del campionato, ci si sarebbe aspettati di veder andare in scena a parti invertite, con il Catania favorito, celebrato dai media a inizio stagione come squadra destinata ad ammazzare il campionato; con il modesto Carpi degli sconosciuti Struna, Lollo, Mbakogu, presumibilmente destinato al ruolo di vittima sacrificale.
Lo scontro si è consumato, in realtà, all’esatto contrario. Il Carpi degli sconosciuti è oggi con pieno merito capolista del campionato. Il Catania dei nomi altisonanti (che qui, del resto, stanno in buona parte svernando in infermeria) annaspa ormai stabilmente tra le squadre che rischiano di andare in serie C. Una realtà che sembra dirci, a prima vista, che il calcio non è una scienza esatta. Ma che ci dice anche – a chi voglia guardare – che non tutto è poi così assurdo e imprevedibile; che non poteva bastare, a inizio stagione, sfidare apertamente il buonsenso per imbroccare magicamente il lancio fortunato dei dadi; che affidare le chiavi della società al responsabile del più recente fallimento, o confermare i giocatori che peggio avevano fatto lo scorso anno, non era precisamente il modo più convincente per ingranare la retromarcia dopo quell’anno vissuto disastrosamente.
Ma non val la pena di dilungarsi, davvero, al punto in cui stanno le cose. Il campionato di serie B adesso si fermerà fino al 17 gennaio, regalandoci una pausa di tre settimane; che sarebbe un tempo lunghissimo, largamente sufficiente per ristrutturare da cima a fondo – pur che lo si voglia o lo si possa fare – una squadra in cui non funziona più nulla. Una squadra – ma dovremmo dire, in effetti, una società – che ha prodotto il disamore di un pubblico storicamente tra i più calorosi d’Italia. Un pubblico capace perfino di sottoscrivere undicimila abbonamenti all’indomani di una retrocessione in serie B. Ma non capace di assistere ad occhi chiusi e in docile silenzio a un’altra possibile retrocessione. Quella che, allo stato delle cose, sta maturando sotto i suoi occhi.
È un tempo sufficientemente lungo, quello in cui il campionato si fermerà. E un cambiamento è certo: arriverà un nuovo allenatore. C’è un nome che gira insistentemente in queste ore, ed è quello di Fabio Liverani. Si tratta di un tecnico giovane, a quanto ne so gradito a Cosentino e alla Gea. E ingaggiare lui – con tutto il rispetto per la persona, s’intende – non mi sembrerebbe veramente un granché, come inversione di marcia.
A me piacerebbe, veramente, se l’anno nuovo cominciasse da un altro tipo di allenatore. Un allenatore esperto e che sappia farsi rispettare. Uno che abbia alle spalle un curriculum importante, se non addirittura da maestro. Uno disposto a venire a Catania solo ed esclusivamente a condizione che la società ingaggi i giocatori che vuole lui, per costruire una squadra che giochi come piace a lui. Questo profilo, tra i tecnici che ci sono in giro (e che non è irrealistico pensare che possano essere davvero ingaggiati dal Catania), oggi potrebbe possederlo uno come Gigi Del Neri. Se arrivasse un allenatore così – chiunque sia il suo procuratore, non è questo il punto – forse significherebbe che abbiamo almeno ingranato una marcia differente. Anche se la strada da fare è lunga, e ancora molto incerta.
A noi, per ora, non resta che impacchettare i ricordi di quest’anno orribile. Per gettarli metaforicamente dalla finestra la notte del trentuno.
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