Franco Piro è stato per vent'anni parlamentare regionale e oggi è vicepresidente dell'associazione ex deputati. E in questa veste decide di rispondere alle domande di MeridioNews su uno dei temi anticasta per antonomasia
Vitalizi, la legge siciliana impugnata dal governo nazionale «Musumeci ha il dovere di difenderla, grave se non lo fa»
«Musumeci ha il dovere di difendere la legge dell’Ars sul taglio ai vitalizi». Franco Piro è stato per vent’anni tra gli scranni di Palazzo dei Normanni, deputato per quattro legislature a partire dal 1986, assessore regionale al Bilancio nel governo Capodicasa tra il 1998 e il 2001, oggi è il vicepresidente dell’associazione ex parlamentari. E in questa veste decide di rispondere alle domande di MeridioNews su uno dei temi anticasta per antonomasia: la riduzione retroattiva dei vitalizi degli ex parlamentari (già dal 2012 per i nuovi deputati i vitalizi sono stati sostituiti da pensioni con sistema contributivo, come per tutti gli altri cittadini italiani). Lo scorso novembre anche la specialissima Sicilia, ultima tra le Regioni italiane a esclusione del Trentino, ha provveduto al taglio con una legge tutta sua che prevede tre fasce: 9,40 per cento per i vitalizi fino a 37mila euro, 14 per cento per la fascia tra i 37mila e i 62mila euro, 19 per cento per la parte che supera i 62mila euro.
Onorevole Piro, facciamo un esempio concreto: a chi prende un vitalizio da 70mila euro all’anno quanto viene tolto?
«Circa 800 euro al mese».
Adesso però questa legge è stata impugnata dal governo nazionale. Come la mettiamo?
«Il consiglio dei ministri non ha impugnato il merito della legge, non mette in discussione cioè quanto si è tagliato, ma piuttosto la temporaneità, cioè il fatto che l’Ars ha deciso che il taglio per adesso vale solo per cinque anni».
Passati quelli, si torna ai vecchi vitalizi?
«Possono essere rinnovati, ma la temporaneità non se l’è inventata l’Ars. È un principio ribadito più volte dalla Corte costituzionale: quando si interviene retroattivamente su situazioni in essere, il sacrificio chiesto deve essere a tempo. L’Ars lo ha rispettato, il governo nazionale no».
Questa legge, quindi, a vostro avviso deve essere difesa dalla Regione alla Corte Costituzionale?
«Noi pensiamo che il governo Musumeci abbia il preciso dovere di fare costituire la Regione presso la Corte Costituzionale a difesa della piena legittimità di una legge, per altro sostenuta e approvata dalla stessa maggioranza di governo. Se così non fosse sarebbe un fatto gravissimo, aprirebbe una lacerazione tra istituzioni regionali, un precedente assai pericoloso perché significherebbe che qualunque Presidente della Regione può agire a sua discrezione a fronte di una legge votata dall`Ars e da egli stesso promulgata».
Perché l’Ars si ostina a non volersi parametrare ai tagli applicati da Camera e Senato?
«Non c’è alcun obbligo di legge di adeguarsi al Parlamento nazionale. Noi avevamo l’obbligo di parametrarci alle altre Regioni e le assicuro che i nostri tagli sono in linea. L’operazione fatta da Camera e Senato è stata giudicata da gran parte degli studiosi assolutamente illegittima sotto il profilo costituzionale. Io la definirei una mostruosità giuridica».
Perché?
«Per due motivi essenzialmente: primo, perché non è stata fatta nemmeno una legge. I consigli di presidenza di Camera e Senato hanno usato il meccanismo dell’autodichia (cioè la discussa facoltà di alcuni organi costituzionali di risolvere contese coi propri dipendenti in maniera autonoma, con un provvedimento interno ndr). Questo significa che i deputati che vogliono fare ricorso, devono per forza farlo non alla magistratura, ma agli organi giurisdizionali interni di Camera e Senato. E non so quanto sia plausibile in materia di diritti soggettivi».
E il secondo?
«Perché sono stati usati meccanismi totalmente retroattivi, anche inventati. Tanto che gli stessi organismi di giurisdizione di Camera e Senato hanno già annullato alcuni tagli e ora attendiamo il giudizio sugli altri ricorsi. Il meccanismo contributivo usato a Roma ha portato a situazioni aberranti, hanno tagliato anche il 70 per cento, pure a gente che vive in condizioni di non autosufficienza».
Anche tra gli ex deputati regionali c’è chi intende fare ricorso contro il taglio deciso dall’Ars?
«No, non ci sono stati ricorsi e credo che non ce ne saranno. Pensiamo che l’Ars abbia fatto un buon lavoro, rispettando i principi costituzionali. Un elemento che non è stato evidenziato è che in altre Regioni ci sono consiglieri che non hanno subito alcun taglio, mentre da noi tutti hanno subito tagli proporzionali all’ammontare del vitalizio: chi aveva un vitalizio più alto ha subito un taglio più alto».
L’Ars ci ha messo molti mesi per arrivare a questa legge, giungendo proprio al limite del termine ultimo dato da Roma, pena il taglio di una parte dei trasferimenti statali alla Sicilia. L’impressione è che si sia perso volutamente tempo.
«Era stato fissato un termine all’1 dicembre? È stato rispettato? Sì. Se l’Ars ha impiegato più tempo è perché è stato fatto un grosso lavoro di approfondimento da parte degli uffici, della commissione e dell’aula».
Perché le altre regioni non lo hanno fatto?
«Perché si sono conformate all’intesa raggiunta alla conferenza Stato-regioni, così com’era».
La Sicilia non avrebbe potuto fare altrettanto?
«A parte che la Regione siciliana non ha partecipato a quella conferenza, ma in ogni caso quell’intesa non era applicabile alla Sicilia, perché prevede il ricalcolo dei vitalizi a partire solo dal 1970, mentre l’Ars lavora dal 1947. Non esistevano i parametri per il ricalcolo del periodo precedente, e molti giuristi hanno ritenuto che proprio per questo quell’intesa non fosse applicabile alle regioni a statuto speciale».
Onorevole, un’ultima domanda, che è poi quella che si pongono in tanti. Perché un ex deputato deve percepire un vitalizio, spesso più alto di tante pensioni, anche dopo aver lavorato appena cinque anni?
«È vero, ma teniamo presente che i vitalizi non esistono più dal 2012 per i nuovi deputati. È quindi una misura che andrà a scomparire man mano che noi andremo all’altro mondo. Per quelli in essere va tenuto presente che non è una pensione, perché noi non eravamo dipendenti pubblici, ma è stato concepito come un’indennità complementare a quella percepita durante la funzione. In ogni caso tutti noi siamo convinti che dobbiamo contribuire alle esigenze di risparmio, e abbiamo subito detto che avremmo tranquillamente accettato un taglio nel rispetto dei principi giuridici sanciti dalla corte costituzionale. Cosa che l’Ars ha fatto».