Violenza femminile, 600 le richieste d’aiuto in città nel 2016 Dato fornito dall’associazione Le Onde: «Trend in crescita»

«Nel 2016 a Palermo si sono rivolte a noi circa 500-600 donne per segnalare un abuso o una violenza anche psicologica». È il dato parziale, «anche perché è un fenomeno sommerso», fornito da Stefania Campisi, psicologa dell’associazione antiviolenza Le Onde nel corso della conferenza La violenza contro le donne nella società contemporanea del progetto educativo antimafia promosso dal Centro Pio La Torre e organizzata al cinema Rouge et Noir di Palermo. «Il centro Le onde  – ha aggiunto la psicologa – esiste in città dal 1996 e quello che abbiamo riscontrato è un trend in crescita: più restiamo aperti, anche con un supporto telefonico, e più aumentano le richieste di aiuto. Da fine dicembre portiamo avanti un progetto finanziato dal Comune, oltre alla linea telefonica disponibile dal lunedì al sabato diamo anche ospitalità con una casa rifugio che ha una capienza di 10 posti per le donne maltrattate e i loro figli».

 All’incontro sono intervenute anche Pina Lalli, professoressa di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’università di Bologna, Ornella Dino, referente assistenza sanitaria migranti dell’Asp Palermo, e Osas Egbon dell’associazione Donne di Benin City. A moderare è stata Marina Turco, giornalista del Tgs. Il problema della parzialità dei dati sulle violenze femminili è stato ricordato anche da Pina Lalli che ha citato le rilevazioni sui femminicidi in Italia dal 2005 al 2013. «In nove anni – ha spiegato la docente – sono state 1036 le donne uccise, in media una ogni tre giorni. Oltre il 60% è stato ucciso dal proprio partner, il 72% delle vittime è italiana, l’assassino è italiano nel 75% dei casi. Gli omicidi sono maggiori al Nord». 

Tra le testimonianze che hanno più toccato la platea di ragazzi c’è stata quella di Osas che, oltre alla sua personale storia di riscatto, ha raccontato delle minorenni vittime di tratta conosciute a Palermo attraverso l’unità di strada. O delle piccole ospiti di comunità per minori, come una bambina nigeriana arrivata a Palermo e violentata a 13 anni da dieci soldati libici: «è stata venduta come schiava per povertà dalla sua famiglia, è stata picchiata e abusata così tanto da non riuscire ad alzarsi per il dolore». Osas ha poi ricordato le violenze dei terroristi di Boko Haram che «hanno rapito 200 bambine mentre erano a scuola, dagli 11 ai 14 anni, per farne delle schiave. A settembre alcune di loro hanno partorito e non se ne hanno notizie. Il problema per molte nigeriane è liberarsi della superstizione legata al rito voodoo che i loro sfruttatori impongono, minacciandole delle ritorsioni. Io mi sono liberata, oggi ho due figli e mi sono sposata nel Comune di Palermo, e faccio una vita migliore».

«Le spose bambine che hanno meno di 18 anni sono 700 milioni – ha detto la dottoressa Dino – 250 milioni sono costrette a un matrimonio forzato prima dei 15 anni. Spesso vanno incontro a gravidanze che data la loro giovane età è a rischio di morte neonatale nel 60% dei casi». Diverse le storie di donne migranti da lei incontrate in dodici anni di lavoro su questo fronte, come quella di Rima, bengalese andata in sposa quando era minorenne a un uomo di 30 anni e che durante la gravidanza «non socializzava, non mangiava, vomitava spesso. Un disagio che è arrivato a un parto pre termine di un bimbo sottopeso che non vuole vedere e allattare». 

Tra i temi affrontati anche quello delle mutilazioni genitali femminili. «Secondo l’Unicef sono 200 milioni le donne che in 30 paesi hanno subito mutilazioni, 44 milioni sono bambine con meno di 14 anni – ha aggiunto Dino – la mutilazione genitale è una forma di controllo sociale, finché non si contrasterà la povertà e non ci sarà riprovazione nei Paesi che la praticano, assicurando l’accesso all’istruzione, non si potrà sconfiggere». Come Hani, 24enne somala incontrata nel suo ambulatorio a Palermo, sposata in cerca di un figlio, arrivata sulle nostre coste dopo essere partita nel 2007 con un visto turistico dalla Somalia. «Mi ha mostrato un certificato ginecologico dove emerge che ha subito mutilazione genitale. Come lei sua sorella, mutilata a 10 anni, tra le lacrime della madre che non voleva, ma sapeva di non potersi sottrarre».


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