La tregua armata di Schifani: il prezzo politico per far passare la Finanziaria regionale

Dolcetto o scherzetto? A ridosso di Hallowen viene spontaneo pensare a una serie di regalie da distribuire agli alleati. Ma la convocazione del vertice di maggioranza a Palazzo d’Orléans, indetta dal governatore della Sicilia Renato Schifani in vista della Finanziaria regionale, è invece l’atto dovuto di un esecutivo sotto pressione. Costretto a ricomporre una coesione minacciata in vista dell’appuntamento istituzionale più delicato: la legge di Stabilità regionale. Il risultato? La conclamazione di una vera e propria guerra fredda. In cui ogni attore deve portare a casa il proprio ruolo. Il comunicato ufficiale ha celebrato l’unanimità dei partecipanti: i vertici di Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega, Democrazia Cristiana, Movimento per l’Autonomia e Noi Moderati. Ma la fretta con cui si è cercato il punto di caduta rivela la profonda crisi di disciplina interna che ha preceduto l’incontro.  

Finanziaria: la condizione necessaria del governo regionale

L’urgenza deriva dal calendario finanziario. La manovra, stimata in un valore complessivo di circa 2,3 miliardi di euro, è la priorità assoluta per evitare l’esercizio provvisorio e mantenere la credibilità istituzionale di fronte allo Stato centrale. Schifani ha imposto un cronoprogramma stringente, confermando l’obiettivo di approvare il documento in giunta entro e non oltre il 30 ottobre. Un termine perentorio che offre una leva significativa ai partiti minori, che sanno bene che il presidente non può permettersi un fallimento sul bilancio. Nemmeno per colpa dei franchi tiratori. È così che l’accordo politico raggiunto, lontano dal manifestare una ritrovata armonia, è piuttosto un patto di mutua sopravvivenza. Diverse zucche ridenti che si annacano tra il sacro e il profano. E Schifani lo sa bene.

I temi (e le riforme) sul tavolo

La mancata approvazione della manovra di Stabilità per il triennio 2026-2028 esporrebbe la Regione a una grave instabilità e ai rilievi stringenti della Corte dei Conti e dello Stato. Da qui un’urgenza che ricade sulle priorità. Il vertice di maggioranza in vista della Finanziaria ha formalmente focalizzato l’attenzione sulle politiche economiche di ampio respiro per la Sicilia. Come il sostegno alle imprese, la riduzione del costo del lavoro e lo sviluppo produttivo. Ma l’analisi suggerisce che la pressione per rispettare la scadenza del 30 ottobre spingerà la coalizione a preferire il pragmatismo del consenso immediato. Rispetto al coraggio delle riforme strutturali complesse.  

Il far west dell’Ars e la disciplina forzata

L’elemento più indicativo delle frizioni interne alla maggioranza risiede nella polemica sulle procedure parlamentari. Dimostrando che la difficoltà non è solo di merito finanziario, ma di controllo politico sull’Assemblea regionale siciliana. Schifani ha più volte e apertamente denunciato il voto segreto, definendolo un «far west che va abrogato». È stanco il presidente di quei deputati che, protetti dall’anonimato, affossano provvedimenti della maggioranza per esercitare un ricatto politico. Finalizzato a ottenere concessioni localistiche, nomine o fondi. Da qui l’accordo, durante il vertice, sulla necessità di procedere all’abolizione del voto segreto all’interno dell’Ars. Decisione procedurale che è in realtà il principale prezzo politico che Schifani ha dovuto pagare per garantire la lealtà. Con i partiti e i deputati che, accettando di rinunciare al loro strumento più potente, hanno implicitamente negoziato la garanzia di ascolto dei loro interessi. Prima del voto palese e definitivo sulla Finanziaria regionale.

Il peso dei partner minori e del centrismo Dc

La salute del governo Schifani, e quindi l’equilibrio della giunta, è vincolata ai partner centristi. In particolare alla Democrazia cristiana e al Movimento per l’autonomia. Nonostante la forza di Fratelli d’Italia. Schifani ha negato che il suo governo sia «in ostaggio», pur ammettendo di subire pressioni e «segnali per cambiare gli assessori tecnici». Il vero nodo di tensione irrisolto riguarda proprio la gestione del potere esecutivo e delle nomine negli enti regionali. L’accordo di vertice si è concluso senza l’annuncio di un rimpasto. Un differimento tramite cui i partner minori si assicurano una leva continua su Schifani. Con la minaccia di far saltare l’accordo o di ritardare il voto sulla Finanziaria, conservando utili strumenti di negoziazione per il futuro.

Tutto rimandato al 2026

Il vertice ha avviato una «riflessione condivisa sulla possibile modifica della legge elettorale regionale». Un chiaro strumento di compensazione politica: una polizza di assicurazione data ai partiti minori. Rassicurati sul non essere esclusi dalla rinegoziazione dei meccanismi di accesso al potere per la prossima legislatura. Un regalo per gli alleati di governo che potrà arrivare, forse, nelle calze portate dalla Befana. E poco importa se, intanto, per ottenere il passaggio del bilancio regionale, il Presidente sarà costretto a disperdere le risorse in micro-interventi, compromettendo la capacità della manovra di concentrarsi su macro-progetti strategici. E se, ancora una volta, la Regione rischia di produrre una legge delle leggi annacquata e priva di vera ambizione strategica. Incapace di sostenere pienamente l’occupazione o lo sviluppo produttivo promesso.


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