«Le commemorazioni? Servono a poco se sono fini a se stesse. Chi si è sacrificato per lo Stato andrebbe ricordato ogni giorno». È netta la posizione di Tina Montinaro, vedova di Antonino, uno dei poliziotti uccisi nella strage di Capaci. Oggi saranno ventitré anni dal pomeriggio in cui una tonnellata di tritolo squarciò l’asfalto dell’autostrada A29, mettendo fine alla vita di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e, appunto, Antonino Montinaro. I tre che insieme a Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e Giuseppe Costanza sono conosciuti come gli uomini della scorta. Un’espressione che rischia di trasformare singole vite in un concetto astratto.
«La responsabilità di questa generalizzazione – dichiara la vedova dell’agente, presidente dell’associazione Quarto Savona 15, dal nome in codice della scorta – è spesso anche della stampa. Il problema non riguarda soltanto la citazione dei nomi degli agenti, quanto il rischio di offuscare l’impegno delle persone che lottarono in prima persona la mafia».
E il principale obiettivo di Quarto Savona 15 è proprio quello di affermare la memoria con esempi concreti. «Non basta riunirsi il 23 maggio di ogni anno e spendere belle parole – continua Montinaro -. Bisogna che ogni giorno si affermi la legalità con azioni che abbiano ricadute nella quotidianità». Anche perché definire eroi i protagonisti di quella tragedia tende a sollevare dalle responsabilità che competono a ogni cittadino. «Parlare di eroi è troppo facile. Mio marito e i suoi colleghi erano persone semplici, ma con un alto senso del dovere. Il loro coraggio non deve essere visto come qualcosa di anomalo, ma come testimonianza concreta di chi ha svolto il proprio compito ogni giorno, credendo nel valore delle istituzioni».
Nelle parole della vedova di Antonino Montinaro anche un invito a stare in guardia dalle strumentalizzazioni di chi usa l’antimafia come porta d’accesso per la propria carriera. «In più di vent’anni di cose ne sono cambiate – commenta -. La magistratura ha lavorato molto e diversi risultati sono stati ottenuti. Dispiace però vedere come nascano paladini dell’antimafia sempre più spesso, salvo poi accorgersi che si tratta di persone che nella loro vita di concreto per combattere Cosa Nostra hanno fatto ben poco. Da familiare di una vittima della mafia – aggiunge la donna – questo ferisce».
Tra le cose accadute in questi vent’anni c’è, però, anche la scoperta della trattativa Stato-mafia. «Si tratta di un tradimento. Mio marito, e come lui tanti altri agenti, si alzava al mattino convinto di difendere lo Stato da un nemico conosciuto, ben individuato – specifica la vedova -. Quando sai di combattere Cosa Nostra metti in conto qualsiasi cosa, ma scoprire che ad aver avuto un ruolo in quella strage possano essere stati pezzi dello Stato lascia addosso tanta rabbia».
Un pensiero, infine, per Nino Di Matteo, il pm palermitano impegnato nelle indagini sulla Trattativa e già condannato a morte da Totò Riina: «Non so se il clima sia lo stesso di quello che precedette la strage di Capaci. La speranza di certo è che la storia sia diversa – conclude Montinaro -. I ritardi sull’assegnazione del bomb jammer? Sono vicende che fanno pensare».
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