Duplice omicidio Vecchio-Rovetta: dopo 34 anni, la procura generale ha avocato l’inchiesta

La procura generale di Catania ha disposto l’avocazione al proprio ufficio dell’inchiesta sull’omicidio degli imprenditori Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio uccisi il 31 ottobre del 1990 nel sito dell’Acciaierie Megara nella zona industriale del capoluogo etneo. L’inchiesta, dopo un annullamento con rinvio di una precedente archiviazione da parte della Cassazione per la mancata notifica della richiesta alle parti civili, era tornata alla procura di Catania che aveva chiesto, e ottenuto, dal gip l’archiviazione delle posizioni dei primi cinque indagati.

La giudice per le indagini preliminari Marina Rizza, scrisse che «non sono emersi elementi indiziari a sostegno della loro compartecipazione» al duplice omicidio, ma dispose nuove indagini ritenendo che da dichiarazione di collaboratori di giustizia sarebbe «emerso il coinvolgimento nella vicenda di Aldo Ercolano e Orazio Privitera». Nel marzo del 2023 la procura chiese un provvedimento cautelare per Carmelo Privitera, indagato con Francesco Rapisarda, per cui non fu presentata alcuna richiesta per la sua età (80enne) e successivamente una nuova archiviazione. Anche contro questa decisione hanno presentato opposizione i legali delle parti offese, i fratelli Pierpaolo e Salvatore Vecchio, assistiti dagli avvocati Enzo Mellia e Giuseppe Lo Faro.

Sul duplice omicidio di Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio indagò la squadra mobile della questura. L’avocazione dell’inchiesta, a distanza di più di 34 anni dai fatti, è stata firmata dal procuratore generale Carmelo Zuccaro che ha assegnato il fascicolo ai sostituti Nicolò Marino e Giovannella Scaminaci. Secondo la procura generale «le indagini esperite dal pm non hanno sviluppato il tema posto dal gip sulle dinamiche intercorse tra Aldo Ercolano e Orazio Privitera». Secondo il pentito Eugenio Sturiale, «Ercolano gli avrebbe commissionato l’omicidio Rovetta in modo che fosse più difficile risalire alla famiglia catanese di Cosa nostra come mandante».

E questo, scrive la procura generale, «anche per l’ambiente malavitoso locale» perché sarebbe «apparsa anomala la decisione di uccidere il titolare di un’azienda che era sotto la protezione di Cosa nostra e con la quale ditte controllate da quelle famiglie facevano affari». Secondo la procura generale, la pista indicata da Sturiale «trova significativi, se pur parziali, riscontri nelle dichiarazioni di Giuseppe Ferone» e, sottolinea, non era un ostacolo il fatto che Orazio Privitera fosse detenuto, tanto che Ferone indica «suo fratello, Carmelo Privitera, tra gli esecutori materiali del duplice delitto».


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