V.Emanuele, incontro su aggressioni, mafia e sanità «Qualcosa è cambiato ma il clima è molto pesante»

L’aggressione al medico del pronto soccorso del Vittorio Emanuele Rosario Puleo è ormai un caso chiuso. Per la questura, sicuramente, che ha assicurato – almeno per il momento – la carcerazione dei sette presunti responsabili ma anche per i vertici dell’azienda ospedaliera e per la prefettura che, durante l’incontro promosso venerdì scorso da Libera nei locali del nosocomio di via Plebiscito, hanno tessuto le lodi del sistema di video-sorveglianza e dell’azione fulminea delle forze dell’ordine. Immagini che hanno permesso agli inquirenti di identificare gli aggressori, per nulla spaventati dalle telecamere considerato il raid a volto scoperto, ma anche di puntare l’attenzione sulle responsabilità dei vigilantes – immortalati mentre pare discutano serenamente con gli indagati – e dell’operatore del 118 accusato di aver aperto le porte dei locali. Dopo aver riconosciuto e baciato coloro che, da lì a qualche minuto, avrebbero picchiato con premeditazione il professionista che si era rifiutato di assecondare i loro intenti criminali. Entrando tra i corridoi, spostando le barelle, impadronendosi insomma di un luogo solitamente gestito da dirigenti medici e da infermieri. Per loro, quindi, la questione resta aperta

Paolo Cantaro, direttore generale del Policlinico, dipinge la vicenda come una «questione antica e culturale» alla quale l’ospedale non ha risposto «trincerandosi nell’omertà» ma, al contrario, «offrendo alle forze dell’ordine il giusto contributo come onesti cittadini e non come eroi». «Abbiamo registrato con soddisfazione la conclusione delle indagini – spiega Cantaro – rese possibili grazie a video-sorveglianza e alla gestione della sicurezza che abbiamo realizzato d’intesa con la polizia. Dopo l’aggressione del dottore Puleo, abbiamo avuto grandi segnali. Uno su tutti, la raccolta firme portata avanti dal signor Siracusa, un cittadino che non ha nessun ruolo qui dentro, a sostegno del nostro dipendente». Da parte sua la direzione generale, dopo gli accadimenti, ha imposto la sostituzione del personale di vigilanza operativo all’interno dei locali d’emergenza e, a MeridioNewsaveva anche dichiarato di voler rescindere il contratto con la ditta, la palermitana Sicurtransport. Il cui personale, però, era ancora in servizio la scorsa settimana. Anche gli uffici del governo nazionale, presenti con la viceprefetta Antonina Latino, hanno deciso di intervenire assicurando «un rafforzamento del sistema di sicurezza da parte della polizia, per far sì che non si verifichino più episodi del genere».

Nel corso della manifestazione, Dario Montana, fratello del commissario ucciso dalla mafia, ha preso una posizione forte sull’argomento, andando oltre al singolo caso e parlando di un vero e proprio problema di «arroganza della criminalità organizzata nei confronti della professione sanitaria». «È assurdo che chi si rivolge a un ospedale venga coinvolto oggi in un’aggressione – ha detto Montana – ma il paradosso è anche quello di persone che per lavoro salvano le vite vengano sottoposte a questo tipo di stress e di trattamento. Noi oggi – aggiunge – vogliamo essere qui per portare i nostri corpi dove c’è bisogno, siamo dalla parte degli utenti e dei professionisti minacciati dai malavitosi. Ricordiamo però – conclude – che in questa stessa struttura si trovavano i medici che hanno alterato le cartelle cliniche per il boss Alessandro Bonaccorsi e che, come questo caso, ne esistono molti altri a Catania e in tutta la Sicilia». 

Anche Marco Pandolfo, figlio di Domenico – neurochirurgo ucciso a Locri da uno ndranghetista per non essere riuscito a salvarne la figlia malata –  ha parlato di delicatezza del mestiere e dei pericoli che i sanitari possono correre. «Per un medico rispetto ad altre professioni deputati alla gestione della giustizia – ha spiegato Pandolfo – si opera in un ambito diverso rispetto alla malavita ma ci si interfaccia con essa. Mio padre – continua – diceva che bisognava trattare i pazienti come i nostri parenti, anche se sono mafiosi. Ed è così che, nonostante tutto, Il 20 marzo 1993 uscendo dall’ospedale di Locri, è stato ucciso con dieci colpi di pistola. Capite bene che si può morire di sanità». 

Infine, tocca al primario del reparto di pronto soccorso del Vittorio, Giuseppe Carpinteri, fare una fotografia della situazione all’indomani dei diversi casi di violenza sul personale. Da quello di Angela Strazzanti, a quello di Rosario Puleo. «Il clima qui è pesante, signora prefetta – afferma il medico parlando con le istituzioni in sala – Abbiamo deciso spontaneamente di costituirci parte civile nel processo contro gli aggressori del collega Puleo perché ci sentivamo parte lesa, e dopo il primo gennaio possiamo dire che qualcosa è cambiato. Si sono ridotti del 90 percento quei fastidiosissimi bigliettini – continua il direttore – distribuiti da operatori che si infiltrano in ogni angolo dell’ospedale. C’è più sicurezza, ma in generale, purtroppo – conclude – possiamo dire che si è rotto il patto di fiducia tra medico e cittadino, e oggi regna la più totale diffidenza. Dateci una mano»

Mattia S. Gangi

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