Quello dell’uomo nella grotta sull’Etna è destinato a rimanere un mistero. Almeno per il momento. La procura di Catania, infatti, ha deciso di archiviare l’inchiesta dopo che la comparazione del Dna ha dato esito negativo non solo per il giornalista Mauro De Mauro (scomparso nel 1970) ma anche per altre persone i cui nomi erano stati presi in considerazione. Dalla procura fanno sapere che, comunque, «i dati molecolari raccolti restano a disposizione per eventuali indagini future». Quella di mister Omega – soprannome dato all’uomo rimasto senza identità per la marca dell’orologio da polso, fermo alle 10.55 di un giorno e di un anno non precisati, ritrovato insieme alle ossa e ad altri oggetti – è una storia che inizia nel novembre del 2021. Quando, durante un addestramento insieme alle unità cinofile all’interno di una grotta lavica nel territorio di Zafferana Etnea, i finanzieri del soccorso alpino di Nicolosi, trovano i resti ossei di un uomo dell’apparente età tra i 45 e i 50 anni morto tra gli anni Settanta e gli anni Novanta.
Indossa pantaloni scuri, una camicia chiara a righe, un maglione leggero di lana, una cravatta nera, una mantellina di nylon verde scuro, un cappello di lana con pon-pon e un paio di scarponcini marca Pivetta numero 41. Accanto ai resti, viene trovato anche un piccolo pettine con custodia. Dai primi riscontri, effettuati sulle ossa trovate nell’anfratto non facilmente accessibile in località Cassone, lungo la strada provinciale 92 per l’Etna, dalla sezione Investigazioni scientifiche del comando provinciale dei carabinieri di Catania, emerge che si tratta di un uomo alto all’incirca un metro e settanta e che avrebbe avuto delle malformazioni congenite al naso e alla bocca. Particolare che riporta subito alla mente il volto del cronista del quotidiano L’Ora rapito da Cosa nostra nel settembre del 1970, mentre tornava a casa a Palermo, e mai più ritrovato. Era stata la figlia di De Mauro, Franca, tramite l’avvocato Giuseppe Crescimanno, a chiedere di valutare se il corpo fosse quello del padre. Un’ipotesi, adesso esclusa dal dato scientifico, che fin subito era sembrata traballante per via delle tempistiche. La morte di mister Omega, infatti, sarebbe datata non prima del 1977. Una deduzione arrivata da alcuni degli oggetti ritrovati accanto ai resti del cadavere: tre monete di 50 e 100 lire del 1977 e un pezzo di una pagina del giornale La Sicilia del 15 dicembre del 1978 che, usato per incartarla, era rimasto attaccato a una bottiglia di vetro da un litro che, quasi sicuramente, conteneva dell’acqua.
Un altro dato emerso nel corso delle indagini è che, oltre alla malformazione al volto, mister Omega ne ha una pure all’anca da cui si evince che fosse zoppo. È stato escluso, però, che si sia trattato di una morte violenta: non ci sono, infatti, segni di costrizione fisica per l’uomo che in quella grotta è entrato sicuramente da vivo ed è stato ritrovato in posizione distesa. Nessuna contusione, nessuna frattura, nessuno strappo ai vestiti. Il che a portato a escludere di trovarsi di fronte a un delitto di lupara bianca o eseguito con modalità tipiche delle organizzazioni mafiose dell’epoca. Sono, però, anche gli anni in cui, per effetto della legge Basaglia, chiudono gli ospedali psichiatrici. Circostanza che ha fatto prendere in considerazione agli inquirenti l’ipotesi quei resti potessero appartenere a una persona che aveva vissuto in una di quelle strutture. Lungo la strada che da Zafferana porta sull’Etna, infatti, ci sono ancora due cliniche per la riabilitazione. Dalle verifiche, però, non sono emerse denunce di scomparsa compatibili. Ma bisogna anche tenere conto del fatto che si tratta di anni in cui i registri non erano ancora digitalizzati.
Quella del giornalista De Mauro, però, non è stata l’unica pista seguita dai finanzieri. Tra le segnalazioni c’è stata anche quella dell’imprenditore palermitano Giovanni Pollara, vittima di lupara bianca di cui si sono perse le tracce dal novembre del 1979. A non convincere sin da subito, però, era stato il luogo di provenienza, troppo lontano da quello del ritrovamento. Un altro nominativo venuto fuori è quello di Giuseppe Balsamo, detto Pippo. Usciere del tribunale di Catania con la passione per la musica e il canto di cui si sono perse le tracce il 20 giugno del 1978 all’età di 28 anni. Viveva da solo con un canarino al civico 336 di via Messina, nel quartiere Picanello di Catania. L’ultimo giorno in cui è stato visto, mentre vendeva per strada un paniere di agrumi, Balsamo pare fosse turbato e agitato perché nella zona c’erano polizia e carabinieri. Per i tre giorni successivi alla sua scomparsa, nell’appartamento rimane accesa una radio con la musica ad alto volume. Le cronache dell’epoca raccontano che quando i carabinieri, contattati dai vicini, aprono la porta, trovano la casa in disordine con alcuni mobili rotti e un biglietto con la scritta “Ho pagatto tutto“. Proprio con l’errore di una t di troppo nel verbo. Balsamo scompare a bordo della sua motocicletta, anche questa mai ritrovata, prima di potere partecipare alla finale del Pomofiore. Un programma televisivo di Telecolor che era una sorta di Corrida locale, in cui il pubblico usava pomodori e fiori di plastica per giudicare le esibizioni dei concorrenti.
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