Unict, nemmeno un euro ai dottorati «Sembra quasi un liceo costoso»

A quarantotto ore dalla scadenza dei bandi, fissata per il 24 novembre, è polemica sui tagli ai dottorati di ricerca. Ieri pomeriggio, nel dipartimento di Fisica, i ragazzi del Collettivo Gatti fisici, insieme a Movimento studentesco e Coordinamento unico d’ateneo, hanno indetto un incontro pubblico per denunciare la «disastrosa situazione» dei corsi di terzo livello offerti dall’Università di Catania. Corsi che, per quest’anno, hanno subito un drastico taglio, passando a soli 36 posti rispetto ai 124 del 2010. «Una scelta discutibile – affermano i presenti – che penalizza i neolaureati interessati ad entrare nel mondo della ricerca, sacrifica la qualità per favorire logiche di mercato e declassa l’Ateneo catanese rispetto al resto d’Italia».

A sancire i tagli è stato già lo scorso 26 luglio un decreto del senato accademico con cui l’Ateneo ha dirottato i fondi per i dottorati, per l’ammontare di 2.500.000 euro, verso più generiche «attività di ricerca»: che tradotto significa nemmeno un euro stanziato per le borse. Gli 11 corsi di studio di terzo livello firmati Unict per l’anno 2011/2012 sono infatti tutti finanziati da fondi esterni, nessuna borsa è stata elargita direttamente dalle casse dell’Ateneo. Come i 17 posti dei dottorati nazionali, appoggiati da progetti Pon della Comunità europea e dai fondi dei Laboratori del Sud dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Stesso discorso per le esperienze internazionali, i cui contributi economici derivano da progetti europei e da Telecom. Una scelta, quella di Unict, che per gli studenti è la «combinazione letale della riforma Gelmini e dei tagli ai fondi di finanziamento ordinario decisi dal precedente Governo». Il risultato? «Penalizzare i dottorati per finanziare i progetti di ricerca d’ateneo (i pra ndr) che però non sono stati ancora nemmeno presentati» afferma Giuliana Barbarino del Collettivo Gatti fisici.

Gli studenti contestano anche la scelta delle tematiche dei bandi – per quest’anno afferenti solo alle facoltà di Medicina, Agraria, Ingegneria e Fisica – a loro dire orientate esclusivamente verso discipline e progetti appetibili per le aziende più che sulla qualità della ricerca. Logica che sta alla base anche della totale scomparsa di borse nel settore umanistico, «sacrificate alle logiche di mercato – spiega Barbarino -. Ma questo non è il ruolo dei ricercatori».

«L’entrata in vigore della legge Gelmini svincola gli atenei dall’obbligo di garantire il finanziamento diretto ad una certa quantità di borse per i dottorati di ricerca», ricorda la ricercatrice Chiara Rizzica, evidenziando uno dei motivi alla base del taglio dei fondi. «Non vincolare è un danno, sopratutto a Catania – aggiunge -. L’Università etnea vive una situazione già poco felice e di conseguenza sceglie di non investire sui dottorati, autodeclassandosi e declassando il valore dei suoi ricercatori, perché un Ateneo che non fa ricerca è poco più di un liceo costoso». Per Gianni Piazza del Coordinamento unico, invece, bisogna esigere più trasparenza e democrazia sulla distribuzione delle risorse e monitorare lo stanziamento dei fondi per i pra. Dello stesso avviso anche Pierangelo Spadaro, dottorando presso l’università di Catania, secondo cui «i fondi destinati ai progetti di ricerca sarebbero bastati a coprire le spese per circa 21 borse, mentre suddivisi per singoli docenti ammontano alla quantità irrisoria di poco più di un migliaio di euro».

«E’ stata una decisione sofferta – spiega il prof. Francesco Priolo, docente della facoltà di Fisica e membro del senato accademico che ha approvato il decreto del 26 luglio -. Si doveva scegliere tra stanziare un numero esiguo di borse di dottorato e rifinanziare il metabolismo di base della ricerca di ateneo. La seconda c’è sembrata una scelta utile». Per l’allocazione dei fondi pra, Priolo annuncia che i progetti saranno presentati nel corso della prossima riunione del senato e conclude garentendo che si batterà affinché «quello che è successo quest’anno non accada più». Affermazione, quest’ultima, che non incoraggia i presenti secondo i quali, viste le premesse, la situazione è destinata solo a peggiorare. E le casse dell’Università di Catania ad essere sempre più vuote.

[Foto di Andrea Rapisarda]


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