È il momento del bilancio di metà mandato per il Magnifico dell'università catanese. Il cui nome negli ultimi tempi corre veloce nei salotti cittadini: seguirà le orme dei suoi predecessori e scenderà in politica? «No», sorride. E in questa lunga intervista parla anche di precari, Vqr e azzeramento degli affitti
Unict, il giro di boa del rettore Giacomo Pignataro «In procura le carte su Torre biologica e Sigenco»
Non vuole fare il sindaco e preferisce non commentare l’amministrazione guidata da Enzo Bianco. Tutto questo per concentrarsi sul suo ruolo di Magnifico rettore all’università di Catania. Giacomo Pignataro è ormai a metà del suo mandato. Di anni per concluderlo gliene mancano ancora pochi meno di tre, che dovrebbero servire per concludere quanto iniziato. «La riorganizzazione amministrativa, la stabilizzazione dei precari storici, l’apertura della Torre biologica», elenca. Tutti punti accademici, ma anche politici, in mezzo ai quali spuntano incartamenti inviati alla procura di Catania e la polemica nazionale sulla Vqr, la valutazione qualitativa della ricerca imposta dalla legge.
Lei si trova, come si suol dire, a midterm. Cosa è stato fatto e quali sono risultati migliori che pensa di aver raggiunto?
«Uno dei più importanti riguarda la riorganizzazione, cioè il passaggio da una situazione centralizzata a una amministrazione delegata ai dipartimenti. Ci è voluto del tempo e il nuovo sistema è appena partito. Ci sono ritardi e inefficienze, per i quali mi scuso, ma siamo certi di migliorare già quest’anno».
Quanto è stato difficile, con un sistema in cui ai vertici dell’ateneo c’erano i fedelissimi del suo predecessore, Antonino Recca? Le hanno fatto la guerra?
«Non la definirei una guerra. Da un lato le risorse sono decrescenti, e questo rende necessaria una maggiore efficienza della macchina. Ma dall’altro non si può neanche stare ancorati ai vecchi modelli della burocrazia. Le limitazioni che abbiamo avuto nel ricambio generazionale hanno impedito di introdurre giovani con un approccio diverso».
Il ricambio bloccato è figlio dei tagli. L’ateneo dove risparmia?
«Sugli affitti. Contiamo di azzerarli. A giugno dismetteremo i locali di via Umberto, stiamo finendo la gara d’appalto per il completamento della struttura di via San Nullo, ex sede della Scuola superiore. Ristrutturata questa, spero entro il prossimo anno, elimineremo anche gli affitti di piazza Bellini e di Palazzo Hernandez. Poi stiamo ridiscutendo alcuni contratti: vogliamo affidare il servizio-aule agli studenti che hanno vinto il contributo per il lavoro part-time in ateneo. Usando loro eliminiamo il bidellaggio».
A quanto ammontava fino al 2015 la spesa degli affitti?
«Stiamo parlando di circa un milione e mezzo di euro».
Il part-time sopperisce alla riduzione delle borse di studio?
«Non è risolutivo ma evita che i nostri studenti debbano andare a lavorare la sera in qualche locale, perdendo sonno e tranquillità. Siamo passati dai poco meno di 500 posti ai circa 1200».
Rettore, la danno come prossimo al salto in politica. Vuole fare il sindaco?
«No. Vengo da una famiglia contadina che mi ha educato a un fatto fondamentale: quando si dà una parola, quella è ancora più forte di un contratto scritto. Ho preso un impegno con la comunità accademica, il mio mandato scade il 12 marzo 2019».
E dopo?
«Avrò 56 anni. A meno che le leggi sul pensionamento dei docenti universitari non cambino, avrò ancora 14 anni di carriera. È un lavoro che ho voluto e che ho scelto. Dal punto di vista professionale è stato il sogno della mia vita».
Il rapporto dell’università con la città quale deve essere?
«L’università deve avere un ruolo istituzionale. Dev’essere riconosciuta come la casa di tutti, senza che esistano correnti di pensiero con un peso maggiore delle altre. D’altra parte, l’università deve confrontarsi con la politica sui progetti. Stiamo cercando di realizzare un confronto nel quale si passi dalle parole ai fatti; dalle parole sulla centralità della ricerca per fare l’innovazione, ai fatti degli investimenti per garantire tutto ciò».
A proposito di ricerca, parliamo di Vqr. Da una parte il suo ruolo alla Crui, la Conferenza dei rettori, dall’altra il Cuda che aveva sostenuto Pignataro candidato. Come ha vissuto questa ambivalenza?
«In campagna elettorale avevo detto che non ero il candidato né sarei stato il rettore del Cuda. Né, al contrario, ho creduto che il Cuda fosse un mio organismo. Io non ho preteso che si allineassero, né avrei avuto modo per farlo. Loro non hanno preteso di influenzarmi. Ovviamente la Vqr discende da scelte ministeriali che un rettore, pur criticandole, non può che rispettare».
Se non fosse stato rettore, avrebbe aderito alla protesta contro la Vqr?
«Non sono convinto che quello sia lo strumento migliore».
Cambiamo argomento: la Torre biologica è finita. Quanto è costata?
«Una trentina di milioni. Ed è costata un’enorme fatica perché, quando mi sono insediato, ho trovato il fermo dei lavori. La società Sigenco ha avuto le vicende che conosciamo, si è dovuto rimpiazzarla e completare in tempo per rendicontare una parte dei finanziamenti. Ci siamo poi accorti che non erano state seguite alcune prescrizioni dei vigili del fuoco, che mancavano già dalla progettazione. Abbiamo trasferito le carte a chi di dovere. Ci penserà la magistratura, ordinaria e contabile».
Che cos’è finito in questo esposto?
«C’è il caso del doppio pagamento, per circa 850mila euro, che siamo stati costretti a fare a Sigenco. Dico che “siamo stati costretti” perché abbiamo subito un pignoramento e non c’era alternativa. Un pagamento della fine del 2012 non era stato effettuato al creditore dovuto. Era stato fatto direttamente alla ditta, quando avrebbe dovuto essere fatto alla banca».
Parliamo ancora di edifici. L’ospedale San Marco?
«Il Policlinico ha sempre sostenuto, d’accordo con l’università, che l’ospedale di Librino andasse completato. La direzione generale sta facendo più delle umane cose per ottenere questo risultato. Ci sono le risorse finanziarie e siamo davvero all’ultimo miglio. Siamo in attesa di alcune decisioni giudiziarie che riguardano, per esempio, il fatto che il Policlinico possa pagare direttamente alcuni fornitori della Tecnis».
Chi gestirà il San Marco?
«Noi non vogliamo tirarci indietro. Ma si stanno completando investimenti di lunghissima data previsti dal Policlinico e le risorse assegnategli non sono sufficienti a garantire la gestione anche di Librino. L’azienda, però, non ha interesse a dismetterlo. La Regione deve trovare le risorse».
Ma se allo stato attuale le risorse non ci sono.
«Se fossi al posto della Regione, sottoscriverei un patto risorse-risultati. La Regione investe e ha diritto di pretendere l’eccellenza».
Che fine fanno gli ospedali in dismissione? Il Vittorio Emanuele, il Santo Bambino e il Ferrarotto.
«Non è compito dell’università deciderlo. Ritengo, però, che alcune di esse dovrebbero essere collegate all’edilizia universitaria. Al Vittorio Emanuele vedrei residenze. È ovvio che lì bisogna pensare subito a cosa fare. Non possiamo avere in quartieri critici strutture abbandonate».
E chi deve preoccuparsene?
«Da una parte la Regione, poi il Comune perché governa l’urbanistica. Potrebbe essere coinvolta l’università qualora questa idea del campus al Vittorio Emanuele, che fa parte dei progetti del sindaco, vada avanti».
Non si sente troppo buono nei confronti dell’attuale sindaco Enzo Bianco?
«Sono molto buono col sindaco, con il presidente della Regione e con tutte le istituzioni. Al di là delle battute: ritengo che una istituzione debba cercare una leale collaborazione con le altre. Ognuno è autorizzato a polemizzare quanto vuole, ma l’università non può entrare in questo circuito».
Non risponde sull’efficacia dell’amministrazione di questa città?
«Non credo che sia mio compito».