Una domenica da (non) ricordare

Si è giocata domenica pomeriggio la seconda partita mondiale per la nazionale italiana. Dopo l’esordio non proprio brillante con il Paraguay, gli azzurri si sono scontrati con la Nuova Zelanda. I tifosi italiani sperano nella vittoria e, confidenti in un incontro più convincente di quello di lunedì scorso, sono tutti davanti alla tv, magari, come chi scrive, un po’ assonnati a causa dell’abbondante pranzo domenicale. Ci siamo: il calcio d’inizio apre un match che, almeno per i primi minuti, si preannuncia molto movimentato. Questa volta, l’Italia parte subito all’attacco. “Speriamo di recuperare la figuraccia dell’altra volta”, penso. Nel frattempo, visti i precedenti non proprio felici della prima giornata azzurra, mi sono comprata un bel corno rosso. Bello grosso. “Questo dovrebbe aiutarmi un po’ a portare meno sfiga” penso, mentre stringo il monile scarlatto tra le mani.

Come non detto: non siamo nemmeno al sesto minuto che la Nuova Zelanda passa in vantaggio con un gol di Smeltz. Anzi, per essere più precisi, la palla, rimbalzata sopra Cannavaro, viene urtata per caso dal giocatore dei whites, ed entra dritta in porta. “La demoralizzazione non mi avrà — penso tra me e me — questa volta ce la possiamo fare”. Incollo gli occhi allo schermo e incrocio tutte le dita, comprese quelle dei piedi. Gli azzurri non si abbattono e partono all’attacco, ma questi neozelandesi sono tutti alti due metri e saltano come dei fottutissimi canguri: noi tiriamo la palla verso la porta, ma questi la intercettano di testa e bloccano l’azione ogni santa volta. Mi torna in mente un gioco che facevo da piccola, mi pare si chiamasse il cane, in cui i due amichetti più alti si passavano tra loro la palla, cercando di non farla prendere ad un terzo giocatore che stava al centro, bastardamente scelto sempre tra i più bassi della comitiva. Mi riprendo da questo pensiero quando mi accorgo che forse, invece, stanno giocando a palla avvelenata, oppure alla patata bollente e penso: “La palla non scotta, perché non la toccate?”. Arriva il passaggio, ma nessuno lo intercetta. Avranno forse paura di bruciarsi?

La partita prosegue con questo ritmo per un po’. Mentre guardo le immagini che scorrono nella mia tv penso che, se dovessimo perdere, ci sarebbe un’altissima probabilità di andarcene tutti a casa, con la coda tra le gambe. E mi chiedo anche se i nostri calciatori se ne siano resi conto, dato che, fino a questo momento, non è che abbiano giocato benissimo. Cerco di non pensarci e mi concentro su Cannavaro, che è davvero un bel ragazzo. Decido di smettere di farlo quando noto il suo nuovo taglio di capelli di dubbio gusto, un po’ stile doppio taglio mammoriano. Con lo stesso disgusto, noto anche che tutti gli uomini in campo non fanno altro che pulirsi il naso con la maglia e sputare, con nonchalance, bambini di due anni a terra. Mi impongo di smettere di fare caso a questi particolari inutili, “sono qui per guardare la partita”. Intorno al sedicesimo minuto l’Italia spreca la prima palla gol della giornata: Chiellini tira in porta, ma sbaglia traiettoria. Forse voleva regalare il pallone ai tifosi? Tra l’altro, guardando bene in faccia il difensore azzurro, mi rendo conto di quanto sia brutto: “Sembra Lerch della famiglia Addams — penso — L’avranno di sicuro convocato in nazionale per spaventare a morte l’avversario”.

Il gioco riprende. La nazionale italiana corre e tira sempre in porta, peccato che tutti i traversoni — sì, nel frattempo ho capito che cosa sono — sono sempre indirizzati agli spalti. I casi sono due: o credono che adesso si segni mandando lì il pallone, oppure hanno semplicemente i piedi a banana. Improvvisamente i nostri si svegliano, cominciano ad attaccare come pazzi. “Sono agguerriti — mi dico — Forse questa è la volta buona che si sbloccano davvero”. Spiazzati, i calciatori neozelandesi, che fondamentalmente a pallone non ci sanno giocare, per fermare gli italiani diventano ancora più violenti del solito. In campo cominciano a volare pedate, spinte e gomitate ai danni degli azzurri. Chiellini, ad esempio, prende un pugno in faccia senza pietà. Forse i whites hanno sbagliato colore e credono di giocare a rugby come i loro colleghi All Blacks.

Panico al 26esimo del primo tempo: Montolivo tira in porta una cannonata e sbaglia per un pelo prendendo il palo. “Porca miseria, era gol! Questa è sfiga pura!”. Intorno al ventottesimo minuto, un intervento divino ci salva dalla sfortuna: il povero De Rossi è a terra, letteralmente falciato dall’avversario Smith. Dopo l’ennesimo fallo della Nuova Zelanda, l’arbitro assegna all’Italia un calcio di rigore. Iaquinta segna così il gol del pareggio, mandando il pallone dritto in porta. Gioia, felicità: un boato si propaga nell’aria. “Non poteva sbagliare — penso — Il merito sarà anche delle sue bellissime scarpette giallo evidenziatore”. Dopo le lodi a Iaquinta, autore dell’uno pari, i telecronisti si accaniscono crudelmente su Criscito. “Il ragazzo non ha prospettiva” dice uno di loro dal nulla. In effetti, a giudicare dall’aspetto, io non gli darei nemmeno mille lire: mi sembra un po’ rachitico. “Speriamo che non arrivi un colpo di vento, sennò lo andiamo a riprendere in Marocco” penso tra me e me ridendo.

Quando la carrellata della regia inquadra gli spalti, mi accorgo che tutti hanno in mano e in bocca quelle cazzo di trombette colorate, che fanno un rumore più fastidioso di una padellata sui denti. Quelle cose hanno la capacità di farti venire il mal di testa dopo i primi dieci minuti di gioco. Per farmi passare l’emicrania, mi concentro sull’altro strafigo della nazionale 2010, ovvero De Rossi, con barba incolta versione Cast Away. Peccato che lo buttano sempre a terra. Sarà invidia.

Tra una azione e l’altra, il telecronista si trasforma in una cucca bestiale, sottolineando che “c’è solo una squadra in campo”. In effetti è vero: le azioni le facciamo solo noi e la partita si svolge solo nella loro area di rigore, ma questo cronista porta male e con una affermazione del genere “ci ha piantati definitivamente”, penso. Incrociando le dita, mi concentro sulla partita e mi accorgo che c’è un essere inutile che si trascina nel campo: è Pepe. Nonostante la mia scarsa esperienza in ambito calcistico, in base a quello che ho visto mi chiedo: “Perché gioca in nazionale?”.

Siamo in chiusura del primo tempo e, sfortunatamente, saltano due occasioni gol nel giro di due secondi. Il fischio dell’arbitro segna la fine dei primi quarantacinque minuti di Italia-Nuova Zelanda.

Dopo l’intervallo, riprende il gioco. Gli azzurri di Lippi prendono subito il contropiede, ma cominciano anche a sbagliare passaggi. Mi chiedo se sanno che quelli vestiti bianco non giocano con noi. A parte questo piccolo particolare, le azioni all’attacco non mancano: i nostri si avvicinano alla porta avversaria, ma i neozelandesi sono sempre più zaurdi e provano più volte a stroncarci le gambe. “D’altronde dobbiamo aspettarcelo — penso — perché il calcio è un gioco maschio”. Anche se a guardare bene i calciatori proprio non si direbbe. E poi gli All Whites sono giganteschi: è come tirare la palla contro un muro di cemento. “Questi sono sempre in mezzo ai piedi” penso, nel vero senso della parola.

Al 63esimo del secondo tempo, una fucilata di Vicelich mette in crisi Marchetti. “Meno male che ha sbagliato — penso non appena passato lo spavento — perché il portiere si scantau e non sapeva che fare. Ma è stato sempre biondino o gli sono diventati i capelli bianchi?”. Come se non bastasse, il povero Montolivo viene letteralmente aggredito da un avversario, che gli tira persino i capelli. In campo è il caos. Dopo uno stop di naso da parte di Chiellini, Montolivo ci riprova con una cannonata, puntualmente parata dal numero uno avversario Paston. ”Questo elfo verde sta rompendo i coglioni — penso — È un muro!”. L’Italia ci prova altre mille volte, ma le azioni non arrivano mai al sodo, fallendo sempre per pochissimo. All’ottantaduesimo scampiamo per un pelo il vantaggio avversario: Wood esce fuori di poco, ma Marchetti non ha capito niente. Concludo che siamo senza portiere.

Mancano gli ultimi cinque minuti quando la Nuova Zelanda, oltre a dare gomitate, si sveglia e parte all’attacco. “Certo, si sono riposati tutta la partita e ora ci fanno ballare la samba?”, penso. Lippi comincia a bestemmiare in aramaico e a masticare la cicca con più violenza del solito. “Perché non segniamo? – urlo disperata – Hanno fatto tremila azioni inutili!”. Camoranesi tenta il gol, ma Paston lo blocca senza fatica. “Questo portiere è bravo. Lo faranno santo subito ‘sto stronzo”. Siamo agli sgoccioli: De Rossi prova il tiro, ma anche questo finisce sui pugni dell’estremo difensore neozelandese. “Non ce la faccio più – penso – Ho rischiato almeno sei volte di morire d’infarto per niente!”.

Dopo quattro inutili minuti di recupero, l’arbitro decreta la fine dell’incontro. Un’altra partita, un altro pareggio. I giocatori della Nuova Zelanda sono contenti. Da parte loro possono dirsi soddisfatti: hanno pareggiato con i campioni de mondo. E noi?


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