Tratta, sit-in per la nigeriana che si è ribellata «Sono stanca, non voglio più fare questa vita»

«Sono stanca, non voglio più fare questa vita. Voglio dire di no e andare fino in fondo». È un rifiuto netto quello della 25enne che lunedì si è lanciata dal balcone di casa, all’Albergheria, per sfuggire alle violenze del compagno. Lui è Charles Omo, nigeriano come lei, che resta in attesa che il gip si pronunci sulla convalida del fermo. Le accuse sono pesantissime: sfruttamento della prostituzione, sequestro di persona, lesioni personali, minacce e lesioni. Lei, invece, rimane ricoverata al Civico, dove è già stata sottoposta a un intervento al piede. Pare che le ripetute percosse ricevute dall’uomo le abbiano procurato delle menomazione difficilmente guaribili. A raccogliere il suo sfogo oggi è stata Osas Egbon, presidente dell’associazione antitratta Donne di Benin City, che ha potuto incontrare la ragazza nel reparto di Ortopedia in cui si trova ricoverata, mentre all’ingresso della struttura, in segno di solidarietà, si sono riunite molte connazionali, membri dell’associazione, attivisti e cittadini.

«Abbiamo parlato per circa venti minuti – dice Osas – si è sfogata molto e ha raccontato la sua storia, quello che ha subito. Dall’arrivo a Palermo fino al gesto estremo». A spingerla sarebbero state le ripetute violenze del compagno, che oltre a piacchiarla brutalmente non solo al riparo delle mura domestiche ma anche in mezzo alla piazza di Ballarò, la costringeva con la forza a prostituirsi. Minacciata da una bottiglia di vetro, che le ha causato sfregi nel corpo e alle mani, la 25enne ha deciso di lanciarsi dal balcone per sfuggire all’ennesima aggressione. «Viveva in un appartamento al secondo piano, dal quale si è buttata finendo nel balcone dell’inquilina di sotto – spiega Osas -, per poi lanciarsi di nuovo e finire in strada». Un gesto, il suo, che lascia intuire lo stato di disperazione e impotenza in cui versava la giovane donna, adesso raggiunta anche dal figlio e dal marito che aveva lasciato in Africa e che ora si trovano in una comunità. «Adesso ha finalmente preso contatto con le donne dell’associazione, sa che non è più sola e che c’è una realtà sulla quale può contare», spiega anche l’attivista Nino Rocca, presente al sit-in solidale di questa mattina.

«Lei andrà fino in fondo e se la vicenda avrà una continuazione nell’aula di un tribunale, l’associazione chiederà di costituirsi parte civile – continua Rocca – La sua è una storia simbolica, va raccontata, soprattutto alle numerose connazionali che vivono situazioni tristemente simili». A sostenere la giovane ricoverata al Civico anche Bijou Nzirirane, la responsabile dell’ufficio immigrazione della Cgil: «La comunità nigeriana deve ribellarsi e avere il coraggio di essere pubblicamente vicina alla ragazza che ha subito questa violenza», commenta subito, e aggiunge: «Le donne devono imparare a denunciare subito la violenza che subiscono, in tutte le sue forme. Non bisogna aspettare di essere picchiate o trasformate in schiave di organizzazioni criminali. Bisogna vincere la paura al primo campanello d’allarme. Riprendiamoci la libertà di vestirci come vogliamo, di lasciare un compagno senza essere uccise, di avere un figlio senza essere licenziate – conclude – Riprendiamoci la libertà per costruire il nostro futuro».


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