Quattrocentoquattro potevano essere. Ma, alla fine, a Trapani ne sono arrivati decisamente di più di tifosi catanesi. Sciarpetta rossazzurra al collo, erano piene le vie intorno e gli spalti dello stadio Provinciale di Erice. Testimonianza di quanto plausibile poteva già essere in questa occasione concedere il permesso, alle due tifoserie, di vivere il derby fianco a fianco. Richiesta avanzata, a seguito della gran domanda di biglietti giunta da Catania, ma negata.
Granata è la muraglia eretta dai tifosi del Trapani, con tanti fogli colorati. La scritta Ti Amo, disegnata al centro della tribuna. Di rosso ed azzurro si colora il settore in cui hanno preso posto i tifosi del Catania. Il derby siciliano è questo. Rivalità in campo, sugli spalti: «Catania saluta Trapani» (striscione alzato ad inizio partita) e Trapani risponde battendo le mani. Primo tempo, due gol del Trapani. Secondo, due gol del Catania. Terzo tempo? A condividere insieme il pranzo, i commenti, le emozioni dei 90 minuti di gioco.
Per una volta, per molti tifosi una prima volta (mancava dagli anni 90’ il Trapani-Catania), derby siciliano non è sinonimo di incolumità a rischio, di sirene spiegate, di ospiti blindati in gabbia, e poi di insulti, odio e quant’altro ficcato a forza dentro il termine rivalità: che significa anzitutto rispetto e stima. Valori che fanno parte del calcio, gli ultimi. Altri, i primi, che nulla hanno a che vedere con quanto vuol definirsi sport.
Questa domenica, Trapani e Catania sono riusciti a dare l’esempio – anzitutto a sé stessi – di cosa significhi e quanto sia splendido vivere, insieme, una giornata di sport com’è il derby di Sicilia. Che poi, altro non è che una partita come potrebbero esserle tutte.
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