Dopo il caso Scieri, la madre di Tony Drago: «Anche lui morto in caserma. Intervenga il parlamento per fare giustizia»

«Appena ho saputo delle condanne definitive per l’omicidio di Lele Scieri, ho pianto le stesse lacrime di sua madre. Adesso vorrei poterlo fare anche per mio figlio». Rosaria Intranuovo è la mamma di Tony Drago, il militare siracusano trovato morto nel cortile della caserma Sabatini Lancieri di Montebello di Roma il 6 luglio del 2014. A distanza di 15 anni da quella di Scieri, la storia si ripete. Non proprio identica, ma con diversi punti in comune. Tony Drago non era una recluta, ma anche il suo decesso, avvenuto all’interno di una caserma, viene frettolosamente bollato come suicidio.

Tony Drago, militare siracusano morto in caserma

Dopo l’archiviazione, la famiglia si è rivolta alla Corte europea per i diritti dell’uomo. «Coltivo nel cuore la speranza che anche l’epilogo della storia assomigli a quello di Lele Scieri», confida a MeridioNews Rosaria Intranuovo. Una madre che, insieme al marito Alfredo, è intenzionata a non arrendersi finché pure la morte di suo figlio non avrà verità e giustizia. «La svolta, a distanza di oltre vent’anni, per il caso Scieri è arrivata con l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta», ricorda la donna auspicando che si possa fare lo stesso anche per la morte di suo figlio. «La giustizia arriverà anche per Tony – afferma speranzosa Valentina Drago, la sorella del militare – Sappiamo che la strada è lunghissima, ma non abbiamo mai avuto dubbi. E – aggiunge – la storia di Lele ci dimostra che, con tenacia e coraggio, prima o poi il muro si rompe».

Dalla denuncia all’archiviazione

Dopo la denuncia presentata nel giugno 2016 dai familiari di Drago, vengono iscritti nel registro degli indagati otto militari che, per ordine e grado, avrebbero dovuto impedire la morte del caporale. Nel corso dell’incidente probatorio, fatto dai periti nominati dalla giudice per le indagini preliminari, viene esclusa l’ipotesi del suicidio. Poi il legale che assiste i familiari, l’avvocato Dario Riccioli, nota una «strana inerzia» da parte della procura romana. Per questo motivo, chiede l’avocazione delle indagini al procuratore generale la corte di Appello di Roma. Nonostante un primo rigetto della richiesta e la sollecitazione di altre indagini con una nuova consulenza medico-legale, arriva l’archiviazione.

Le «zone d’ombra»

«Permangono zone d’ombra non investigate e, oramai, di difficile accertamento, stante il tempo trascorso dai fatti». Scrive così la gip Angela Gelardi nel sentenza di archiviazione. Una decisione a cui i familiari di Drago si sono opposti con una lettera aperta. Secondo la ricostruzione della procura, il militare sarebbe salito su una sedia e si sarebbe lanciato dalla finestra di un bagno in disuso al secondo piano della palazzina della caserma romana. Spinto, secondo quanto avrebbero raccontato quattro commilitoni, da una depressione dovuta alla crisi nel rapporto con la fidanzata, anche lei arruolata nell’esercito.

Nella richiesta del pm si fa riferimento soprattutto alla relazione della consulenza medico-legale. Un documento in cui si evidenzia che la posizione in cui viene ritrovato il corpo senza vita di Drago sarebbe compatibile con la tecnica utilizzata in preparazione al lancio con il paracadute. Ma è poi un esperimento giudiziale, fatto in una piscina di Catania con un tuffatore professionista, a mettere in dubbio questa compatibilità. Il cadavere di Tony Drago, infatti, è a oltre cinque metri di distanza dal muro della caserma. Una distanza eccessiva per una caduta da dieci metri di altezza. Dal trampolino il tuffatore è arrivato a poco più di tre metri.

Le anomalie

Tony Drago, quando viene trovato morto in caserma, è sull’asfalto a pancia in giù con le braccia a protezione del torace, la testa un po’ inclinata e le infradito ai piedi. Una posizione di quiete piuttosto anomala per una persona che si è lanciata da dieci metri. Inoltre, nessuna spiegazione è mai stata data alle escoriazioni sulla schiena, a un segno di sfregamento all’altezza del collo e alla frattura di diverse ossa. Altre lacune riguarderebbero poi i filmati delle telecamere di videosorveglianza dello spiazzale della caserma e i tabulati dei telefoni degli indagati e dei compagni di camerata di Tony Drago. Non solo, ci sarebbero anche degli accessi sospetti alla posta elettronica del militare dopo la sua morte e prima del sequestro del computer.

Il ricorso alla Corte europea per i diritti umani

Nel dicembre del 2019, la madre di Tony Drago presenta un ricorso alla Corte europea per i diritti umani (Cedu). Una richiesta all’organo giurisdizionale internazionale per «imporre allo Stato italiano – si legge nel documento – la riapertura del procedimento penale, in considerazione della chiara violazione dell’equo processo». E anche per condannare «le autorità nazionali italiane» che, in violazione dell’articolo 2 della Cedu, «non sono riuscite a proteggere il diritto alla vita di Drago». A un mese dal ricorso, da Strasburgo è stato assegnato il numero per la trattazione del caso. Qualche mese dopo, a riaccendere la speranza proprio il giorno del settimo anniversario della morte di Drago, è stata la richiesta di un documento

La Cedu aveva poi chiesto al governo italiano di presentare una memoria per rispondere a delle domande precise: il diritto alla vita è stato violato? Le conclusioni raggiunte costituiscono una spiegazione plausibile per la morte? Le autorità hanno fatto un serio tentativo di stabilire le circostanze attorno alla morte di Drago? È possibile dire che le conclusioni dell’indagine siano state fatte
sulla base di un’analisi approfondita, obiettiva e imparziale di tutti gli elementi? «Siamo fermi a questo punto – conferma a MeridioNews l’avvocato Dario Riccioli che assiste da anni la madre di Tony – Controllo spesso gli atti sul portale telematico della Cedu. L’ultima volta proprio qualche giorno fa, ma non ci sono ancora novità».


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