Molto più di una suggestione, molto più di un facile accostamento. La ricerca di un nome per il ruolo di commissario per la ricostruzione nei territori colpiti dal sisma di Santo Stefano porterebbe il governo Conte a pescare proprio alle pendici dell’Etna. Dove, fin dal deflagrare dell’emergenza, fra sindaci con l’acqua alla gola e passerelle della politica, è emersa una figura che ha costantemente convogliato su di sé apprezzamenti unanimi. Salvatore Scalia, magistrato in pensione, fino a due anni fa procuratore generale di Catania, si è rapidamente guadagnato la ribalta sui giornali e popolarità fra i terremotati. Specie perché diventato il portavoce del primo Comitato degli sfollati nato a Fleri e Pisano, le frazioni di Zafferana Etna più devastate, dopo la scossa del 26 dicembre.
Nel momento in cui tutto poteva andare ancor di più a pezzi, a partire dalla fiducia della gente, dalla coesione delle comunità, il comitato guidato da Scalia si è rivelato un’utile cassa di risonanza per paure e rivendicazioni. Nella snervante attesa di «aiuti concreti», di un Decreto sisma circolato in più bozze ma ancora rimasto tale, non è facile gestire animi pronti ad accendersi. Il comitato è così diventato un megafono di garbo e intelligenza in un contesto dove la ricostruzione ancora nessuno riesce neppure a sognarla. Naturale che sia così, fra direttive soffocate nel burocratese, lavori a rilento e rinvii costanti per un decreto che viene però dato per cosa fatta. Per l’ex magistrato, malgrado uno scenario tanto irto, la scelta di stare in prima linea non è stata forzata, dato il forte legame con la zona colpita e l’affetto che gli sfollati continuano a mostrargli.
Ad accorgersi della novità Scalia, allora, era stata innanzitutto la politica locale. A Zafferana si vota per le Amministrative il 28 aprile e subito l’ex magistrato era stato indicato come potenziale candidato sindaco. I colloqui ci sono stati, ma non se n’è fatto nulla. Molto più concreta, invece, la discussione che si è aperta nel triangolo Roma-Palermo-Zafferana. Fra i governi nazionale e regionale il dialogo resta sempre difficoltoso, e nessuno pare abbia voglia di aprire un nuovo braccio di ferro sulla nomina più importante del post-sisma.
Nel sistema che delinea il Decreto per gli aiuti, il commissario straordinario è l’ingranaggio a metà fra tecnica e politica che dovrà sovrintendere alla ricostruzione. Sul tavolo, come rivelato anche dal sottosegretario grillino Vito Crimi, da mesi impegnato nella stesura del testo – ci sono intanto 300 milioni di euro spalmati da quest’anno al 2021. Non è chiaro cosa ne stia rallentando il varo, atteso che le conferme sulle somme non mancano. Toccherà appunto al commissario – coadiuvato da una «Struttura» composta da un «contingente» di personale scelto nelle amministrazioni pubbliche – orientare i flussi di spesa e prendere le decisioni più importanti. Non da solo, ma in raccordo con il territorio e con «tre esperti o consulenti per l’emergenza» che potrà nominarsi.
L’idea Scalia sarebbe partita da Roma, tenendo ben presente che difficilmente da Palermo potrebbe levarsi degli scudi. Di buon grado, infatti, il Governo Musumeci diede il lasciapassare alla sua nomina a commissario del comune di Acireale – oggi, peraltro, nella lista di quelli terremotati, visti i danni a Pennisi e Piano d’Api – dopo arresto e dimissioni dell’ex sindaco Roberto Barbagallo. E dallo stesso ex procuratore di «no, grazie» non ne sarebbero arrivati, al netto delle naturali cautele del caso. «Prematuro parlarne», si lasciano sfuggire invece dalla maggioranza gialloverde, dove il timore più forte è soprattutto quello di bruciare un nome che sembra avere tutte le carte in regola.
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