Taormina Film Festival, quarta giornata Premio ad Eva Longoria e un inedito P.S. Hoffman

La quarta giornata del sessantesimo Taormina Film Fest inizia con la masterclass di Eva Longoria, attrice famosa soprattutto per il personaggio di Gabrielle Solis e le sue avventure in Desperate Housewife, ma impegnata anche nel charity – la beneficenza – e nella politica. L’attrice ha raccontato la sua storia, la sua gioventù da nerd non troppo bella, il suo schiudersi, in quanto a bellezza, solo al college, la sua maturità acquisita in campi non attinenti alla sua bella presenza prima delle coetanee, la sua fama arrivata in età adulta, 30 anni.

L’attrice si è districata bene tra le domande postele, con grande consapevolezza di sé. Non disdegnando l’ipotesi di un futuro ruolo politico. La sua attività filantropica è molto estesa, contribuendo all’istruzione per le giovani migranti. Un tema che sente molto vicino per le sue origini messicane. L’attrice ha anche conseguito una laurea in Chicano Studies, una facoltà dedicata specificatamente a questo tipo di problematiche. Supporter dichtarata del presidente statunitense Barack Obama ha intrattenuto la sala del Palazzo dei Congressi di Taormina quasi piena, divertendo e facendo riflettere, ma dando a tutte le ragazze presenti in sala anche la speranza di poter avere un futuro migliore. Divertentissima la risposta finale a Mario Sesti, direttore artistico insieme a Tiziana Rocca del Festival, il quale ha chiesto cosa fosse la celebre Tortilla soup: «Basta comprare il libro per scoprirlo».

Alle 14 va in scena, introdotto da Fabio Ferretti, L’anima del Gattopardo, un mediometraggio filmato e firmato da Annarita Zambrano, giovane regista italiana emigrata in Francia, che con alcuni suoi cortometraggi ha partecipato al Festival di Cannes e alla Berlinale. Il documentario parte dal paesino siciliano di Ciminna e dal racconto di alcuni suoi abitanti della lavorazione del celebre film del maestro Luchino Visconti per poi portarci fino ai giorni nostri, facendo vedere come i Gattopardi esistano ancora. Tutta la storia viene affrontata, dall’Unità ad oggi, mostrando cosa sia cambiato e cosa sia rimasto uguale: è rimasto uguale il modo di rapportarsi col potere, cambiando solo i nomi con i quali questo potere si chiama.

I nobili, che nel documentario ricordano con piacere come il vescovo andasse in casa loro a celebrare una messa su richiesta, come se avessero un Dio personale, si lamentano dei poveracci che hanno cercato di arricchirsi alle loro spalle, diventando i Don Calogero della situazione. Mentre i poveracci si lamentano dei ricconi che li hanno sfruttati per tanto tempo: un continuo scaricare ad altri i propri problemi e i propri insuccessi, senza riconoscere mai i propri errori o le proprie responsabilità. Il film non si schiera troppo chiaramente, seppur sia comprensibile il punto di vista della regista, ma non per questo non critica ciò che mostra, e lo si capisce grazie al montaggio e alla scelta di determinate immagini o passaggi. Simpatici i titoli di coda con tutti i politici italiani dall’Unità ad ora. Sagace la nota di un giornalista a fine visione: «Dal 1860 ad ora siam cambiati poco: mangiamo e beviamo come allora, ma all’epoca, almeno, sapevamo ballare il valzer».

Alle 17, nel teatro parrocchiale Nazarena, annesso alla chiesa di Sant’Antonino, è stato proiettato il primo film della sezione focus Russia: Who I am? La suspance hitchcockiana, l’ambientazione russa, la musica giusta al momento giusto, gli attori non affatto male, la struttura che ricorda, seppur vagamente, Memento, fanno di questo film una piccola perla da non perdere. La storia è di un giovane russo persosi nella stazione di Sebastopoli, e di come un investigatore, un dottore e una giornalista riescano a ricostruire il suo percorso. In mezzo alla storia del ragazzo, narrata tramite alcuni flashback, troviamo la relazione d’amore tra il poliziotto e la giornalista, che è piacevolissima, leggera e non disturba l’evolversi della storia.

Il pomeriggio è stato dedicato alla mostra dei 50 anni de Il Gattopardo, unica giustificazione per la presenza di Claudia Cardinale e seguito al Festival. Piena di abiti, e documenti che ricordano, se ci fosse bisogno, l’enormità e la scrupolosità del film e la magniloquenza di ogni scena.

La serata è dedicata a Philip Seymour Hoffman, con un concerto della giovane orchestra taorminese che delizia il pubblico con molti brani cinefili. Ma prima i premi: Humanitarian Taormina Award a Eva Longoria – in sala in compagnia della star Melanie Griffith – e alla sua fondazione, menzione speciale a Variety tramite una sua rappresentante. Dopo premi e concertino, con annessa svuotamento del parterre, inizia Synecdoche, New York, del non abbastanza noto Charlie Kaufman, col compianto Hoffman. Il film racconta di Caden Cotard, regista e commediografo di teatro, e del suo spettacolo più grande. In mezzo tutte le storie della sua vita, tutti gli incontri e tutti gli scontri, tutti i cambiamenti, i passaggi, le evoluzioni che Caden dovrà attraversare lungo tutta la lavorazione dello spettacolo.

Spettacolo che non è semplice drammaturgia, ma rappresentazione della vita, in ogni suo singolo e più recondito aspetto. Dopo aver scritto Essere John Malkovich, Confessioni di una mente pericolosa e l’intraducibile Se mi lasci ti cancello Kaufman passa dietro la macchina da presa, dimostrando di saperci fare, e dimostrando ancor di più quanto importante sia la sceneggiatura in un film. Perché in questo film la regia è ottima, semplice e funzionale alla storia, mai banale e comunque ligia al suo dovere di raccontare una storia al meglio. Più che un film, un’esperienza di vita fusa in un solo film, in 124 minuti, in un miscuglio tra commedia romantica, dramma, cinema, metacinema, melò. Assolutamente da vedere, ad ogni costo.

Pietro Sidoti

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