Foto di Robert Cheaib da Pixabay
«Ancora una volta sulla vittima di uno stupro, di gruppo peraltro, viene esercitata una doppia violenza: fisica e psicologica. La notizia delle chat con frasi disgustose e che non attengono ad una società civile, completano un quadro di orrori». È l’analisi di Francesco Pira, professore associato di Sociologia dell’università di Messina e coautore del libro La violenza in un click. Sotto la lente d’ingrandimento la violenza sessuale di gruppo ai danni di una 19enne. Fatto che ha portato a sette arresti (uno dei coinvolti è stato scarcerato nelle scorse ore), e alla successiva diffusione, da parte di alcuni quotidiani, delle chat Whatsapp di gruppo tra gli indagati. «I video sui social dello stupro, i commenti senza confini al rispetto di un altro essere umano, sono i nuovi trofei – prosegue Pira – da esibire con il proprio network. Nella narrazione sui media e sui social, ancora una volta la vittima non esiste, ma vengono raccontate, con dovizia di particolari, le gesta violente di chi ritiene senza valore il corpo di una donna, e soprattutto non comprende quanto quello che è accaduto la segnerà per sempre».
I messaggi, che erano riportati nell’ordinanza di custodia cautelare, riaprono il dibattito sul confine tra diritto di cronaca e diritto di privacy. «Era giusto pubblicare i video dell’Isis che tagliava le teste dei giornalisti? – si domanda il sociologo – per alcuni sì perché facevano vedere l’efferatezza del gesto e per altri no perché c’era rischio emulazione. Facendo un parallelo con quanto accaduto a Palermo si è aperto lo stesso dibattito. Ma serve? È utile. Tutti conosciamo cosa è possibile pubblicare e poi sappiamo anche deontologicamente cosa è opportuno. Rimane aperto un grosso problema – conclude– come arginare un’emergenza fatta di violenza e soprusi poi diffusi sul web. Occorre un piano d’emergenza con esperti al lavoro e formazione nelle scuole di ogni ordine e grado. Tanta prevenzione per educare al rispetto e alla responsabilità».
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