Stromboli, il lembo di terra più settentrionale della Sicilia, un’isola dal fascino selvaggio e primitivo che
in estate attrae migliaia di turisti desiderosi di ammirare uno degli spettacoli naturali più emozionanti cui
l’uomo possa assistere: le eruzioni vulcaniche. Sia lo Stromboli che l’Etna sono noti per la loro
indole
tranquilla
: si tratta cioè di vulcani che, a differenza dei loro parenti indonesiani, giapponesi, o per non
andare troppo lontano, del vicinissimo Vesuvio, si caratterizzano per
eruzioni dallo stile effusivo (con
emissione cioè di colate laviche) o debolmente esplosivo. Proprio questa loro natura pacifica e una facile
accessibilità fanno sì che i due vulcani siciliani siano tra
i più studiati, i più monitorati e i più visitati al
mondo
. In particolare lo Stromboli è soprannominato fin dall’antichità Faro del Mediterraneo, proprio
perché con le sue continue eruzioni illuminava le rotte dei naviganti fin dalla notte dei tempi.
Negli ultimi
decenni il gigante buono e brontolone,
Iddu, così come è chiamato affettuosamente dagli isolani, ha
stretto un rapporto di fiducia sempre più stretto con i suoi turisti più fedeli, quasi di complicità,
diventando una meta di intimo e mistico pellegrinaggio più che di una semplice escursione. A volte però
questo legame viene messo improvvisamente a dura prova, come è accaduto ieri pomeriggio quando
l’isola intera, i suoi abitanti e i turisti sono stati scossi da uno di quegli eventi che capitano raramente ma
che, per la loro violenza, rimangono
scritti nelle pagine di storia e nella memoria di chi, con quest’isola,
ha scelto di convivere. L’evento che ha fatto parlare di sé ieri pomeriggio e che
ha causato la morte di un trentacinquenne di Milazzo, è un evento raro ma non isolato.
I parossismi, così come vengono chiamate in
gergo scientifico queste violente esplosioni che interrompono l’ordinaria attività del vulcano,
si sono
sempre verificati a Stromboli e ne hanno segnato, nel corso dei secoli, sia la morfologia sia la storia
.
L’eruzione più celebre e catatrofica dello Stromboli, di cui l’uomo abbia memoria, è quella che risale
all’
11 settembre 1930. Questa data segna uno spartiacque nella storia dell’isola e rappresenta l’inizio del
grande esodo che presto avrebbe ridotto al 26 per cento la sua popolazione. La grande eruzione, così come poi
sarebbe stata ricordata per sempre dagli abitanti dell’isola, fu annunciata dalla formazione di
grossi cumuli
di cenere e gas
che si alzarono sopra il vulcano ai quali seguì un forte boato simile a una detonazione;
quindi si susseguirono ripetuti
lanci di materiale piroclastico fino ai due metri di diametro che, dai crateri,
bombardarono il piccolo villaggio di Ginostra, sfondando i tetti delle case, bruciando i campi e uccidendo
due persone.
Contemporaneamente, dall’altro lato dell’isola, una fitta pioggia di cenere e lapilli investì gli
abitati di San Vincenzo e di San Bartolomeo, mentre un’improvvisa nube di gas e materiale incandescente
ricopriva con furia le piccole e semplici abitazioni, distruggendo la maggior parte delle coltivazioni e
causando
la morte di quattro isolani oltre a decine di feriti.
Durante la stessa giornata la spiaggia di
Ficogrande viene invasa da
un’onda anomala di circa due metri e mezzo che si fa spazio per ben 200 metri
e inghiotte altre due persone.
Dopo quel disastroso evento molta gente abbandonò Stromboli, emigrando dai propri parenti in America
e in Australia, sia per il timore di una nuova eruzione sia per la preoccupazione legata al duro periodo di
carestia che si prospettava a causa della perdita totale dei raccolti; altri abitanti, invece, seppur turbati,
decisero di rimanere e di rimboccarsi le maniche. Eppure non era di certo la prima volta che si assisteva
un evento simile e qualche anziano aveva già vissuto un disastro analogo nel maggio del
1919 quando
all’eruzione seguì di nuovo uno
tsunami che devastò spiagge, imbarcazioni e, secondo alcune fonti, uccise
quattro persone.
A questi eventi seguirono periodi di forte preoccupazione durante i quali gli abitanti
guardavano il vulcano con occhi diversi: tra gli eventi più segnanti si ricordano le eruzioni del 22 agosto
1941, del 3 dicembre 1943, del 20 agosto 1944, della primavera 1949 e del 20 ottobre 1950. Dei circa
tremila abitanti che vivevano sull’isola prima della grande eruzione del 1930 ne rimasero
poco più di
seicento
alla fine degli anni cinquanta, per lo più pescatori e contadini.
Erano anni in cui le nozioni scientifiche erano estremamente scarse se non addirittura nulle e l’unico
approccio che si aveva con le eruzioni era di tipo religioso, quando i fedeli confidavano nel poter arrestare
una colata riunendosi tutti in una processione.
Dal 1985, anno in cui è stato attivato il sistema di
monitoraggio dello Stromboli,
esperti provenienti da tutto il mondo si recano sull’isola dell’arcipelago
eoliano per studiare e raccogliere dati sull’attività del vulcano. Il sistema di monitoraggio, nel corso degli
anni, è stato ampliato e reso via via più efficiente ma ciò
non basta a prevedere simili eventi che
rimangono, purtroppo, improvvisi.
L’evento di ieri pomeriggio è uno tra i più violenti registrati finora dal
sistema di sorveglianza, così come ha affermato il direttore dell’Ingv di Catania
, Eugenio Privitera. Anche
negli ultimi anni si erano registrati eventi simili: basti pensare all’evento parossistico del 15 marzo
2007 e
ancora prima a quello del 5 aprile
2003. In entrambi i casi si è verificata una forte esplosione
accompagnata dall’espulsione di materiale piroclastico e dalla formazione di una nube di cenere e gas a
forma di fungo che, dopo aver raggiunto una quota di circa 1150 metri di quota, si è riversata lungo i fianchi del vulcano causando diversi incendi nella vegetazione.
Uno scenario simile a quello di ieri che, come raccontano alcuni
testimoni
, ha dell’apocalittico: «Un’esplosione violentissima che non ha lasciato nemmeno il tempo
di capire cosa stesse succedendo», dichiarano alcuni dei turisti ancora sotto shock che hanno visto
trasformare quella che era una vacanza in un pomeriggio di terrore. «C’era una colonna di fumo nero che
fuoriusciva dal vulcano e
metà dell’isola di Stromboli non si vedeva. Ci siamo rinchiusi nelle case e ne
siamo usciti molto dopo», raccontano altri. E poi la consapevolezza di trovarsi su una piccola isola con
tutto quello che significano i trasporti, l’impossibilità di scappare, gli incendi e i lapilli che continuano a
cadere, la ricerca caotica degli aliscafi e
quello sguardo sempre vigile sul mare, nel timore di scorgere
qualsiasi segnale che potesse far presagire uno
tsunami. Intanto già nella serata di ieri settanta persone
sono state fatte evacuare da Ginostra:
«Abbiamo paura e non vogliamo restare a dormire sull’isola», spiega
una di loro.
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