Strage di Casteldaccia, secondo i consulenti della Procura «nessuno aveva i dispositivi di sicurezza»

«Nessuno aveva in dotazione i dispositivi di sicurezza per le vie respiratorie». I consulenti tecnici nominati dalla procura di Termini Imerese, che indaga sulla strage di Casteldaccia, in provincia di Palermo, sono molto chiari: «Nessun dipendente di Amap spa e di Quadrifoglio Group presente presso l’impianto di sollevamento fognario il 6 maggio 2024 aveva in dotazione i dispositivi di sicurezza per le vie respiratorie. E nessuno degli operatori di Amap e Quadrifoglio, tranne forse uno, aveva avuto una specifica formazione e addestramento all’uso delle misure di sicurezza». La vicenda è quella dei cinque operai morti lo scorso maggio nel Palermitano mentre facevano dei lavori fognari. Le dichiarazioni dei consulenti nominati dalla Procura confermano i primi sospetti: gli operai non avrebbero avuto in dotazioni i dispositivi di sicurezza. Nell’incidente era stato coinvolto anche un sesto operaio, che è sopravvissuto. Le vittime dell’incidente – probabilmente provocato dall’inalazione del gas prodotto dalla fermentazione dei liquami – sono state: Epifanio Alsazia (71 anni), Giuseppe Miraglia e Roberto Raneri (50 anni), Ignazio Giordano (59 anni) e Giuseppe La Barbera. I primi quattro erano dipendenti della Quadrifoglio Group, mentre La Barbera era un lavoratore interinale di Amap (Azienda municipalizzata acquedotto di Palermo).

Quadrifoglio Group aveva avuto in subappalto i lavori da Tek Infrastrutture, che a sua volta si era aggiudicata la manutenzione della rete fognaria dall’Amap. Nel registro degli indagati per omicidio colposo plurimo e lesioni gravissime sono finiti Nicolò Di Salvo, titolare della Quadrifoglio, il direttore dei lavori del cantiere, il tecnico di Amap Gaetano Rotolo e il dirigente della Tek Giovanni Anselmo. «Nessuno degli operatori in possesso di rilevatori multigas era presente il 6 maggio presso l’impianto di sollevamento fognario – scrivono i consulenti – Non risulta inoltre che le altre società, TEK Infrastrutture e Quadrifoglio Group, dispongano di rilevatori multigas e di attrezzatura specifica per l’attività di lavoro in ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento». A differenza di Amap, che sulla carta ne era fornita, riporta l’agenzia di stampa Ansa. Secondo gli esperti, «i liquami fognari presenti nella vasca dell’impianto ISF 51 e nell’intero condotto fognario presentavano valori di solfiti e solfuri decisamente superiori ai limiti previsti per scarichi in rete fognaria». Al centro dell’indagine, oltre alla catena degli appalti, c’è appunto il rispetto delle misure di sicurezza: già i primi accertamenti svelarono che le vittime non sarebbero dovute scendere all’interno dell’impianto e che non indossavano le protezioni. Le vittime sarebbero morte soffocate dal gas sprigionato dai liquami.

«È la sola Amap, in base ai propri documenti per la sicurezza, ad aver predisposto, ma non ha seguito, idonee procedure specifiche di lavoro. Per quanto riguarda le società Tek Infrastrutture srl e Quadrifoglio Group srl, queste non hanno predisposto e tantomeno seguito procedure specifiche di lavoro in ambienti a sospetto inquinamento, malgrado il Dvr (Documento di valutazione dei rischi) della TEK Infrastrutture ed il Pos (Piano operativo di sicurezza) della Quadrifoglio Group prevedano tale attività di lavoro e le conseguenti misure di sicurezza da adottare». Lo scrivono i consulenti tecnici nominati dalla procura di Termini Imerese. «La Tek Infrastrutture Srl e la Quadrifoglio Group Srl – proseguono gli esperti della Procura – formano i loro operatori per l’attività di lavoro a rischio alto con corsi 12 ore, ma i consulenti tecnici d’ufficio non hanno riscontri sul fatto che gli operatori delle due società siano stati informati, formati e addestrati sui rischi lavorativi legati ad ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento e non hanno riscontri per la formazione degli operatori all’uso/impiego dei dispositivi di protezione di terza categoria per le vie respiratorie».


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