Un documentario sulla chiusura delle sale storiche di Floridia, in provincia di Siracusa, per esprimere il malessere casusato dalla crisi cinematografica, tra insegne spente e botteghe sbarrate. È il lavoro di Giuseppe Briffa, giovane autore siracusano innamorato della settima arte, che vede come obbiettivo e antidoto all'alienazione. In lotta contro l'idea che «edifici una volta magici adesso siano magazzini di polvere e cemento», dice a CTzen
Spettri, la morte dei cinema in un corto Il regista: «L’amarcord non basta più»
Un viaggio, proiettato sul grande schermo, che racchiude l’atmosfera decadente di «edifici che prima erano magici adesso sono solo magazzini di polvere e cemento». E che racconta di una concezione del cinema che non c’è più. E’ l’intento Spettri, documentario sulla chiusura della sale cinematografiche di Floridia, piccolo comune in provincia di Siracusa. Luoghi storici, legati soltanto alla memoria del passato, che adesso sono solo delle botteghe sbarrate. Nato dall’amore per proiettore e pellicola di Giuseppe Briffa, 25 anni, giovanissimo regista ed autore siracusano, «folgorato ad undici anni dalla visione di Uccelli di Alfred Hitchcock» e che, da autodidatta – «perché non ho potuto studiare a causa di difficoltà economiche della mia famiglia» – ha provato a trasferire in questa storia tutto il malessere che, da innamorati della settima arte, si prova alla chiusura di ognuno dei suoi tempi. Legata – nella cittadina aretusea protagonista del cortometraggio come a Catania e nel resto d’Italia – anche al cambiamento di gusti ed abitudini del pubblico e alla resa, mortificante, delle piccole sale nella battaglia contro tv e multiplex.
Quella stessa inesorabile morte, fatta di sale vuote, insegne che si spengono e sacrificio della qualità delle proiezioni per rincorrere le logiche di mercato, di cui si discuterà lunedì 12 novembre al cinema King di via De Curtis, a Catania, nel corso dell’evento dedicato proprio alla crisi delle sale cinematografiche catanesi e non solo, organizzato dal Cinestudio e dal nostro quotidiano CTzen. Durante il quale, anche grazie alla proiezione del documentario di Giuseppe, si proverà ad indagare su motivazioni e difficoltà degli esercenti, ma anche sul cambiamento della concezione di «andare al cinema». E per capire perché quelli che erano i simboli dell’epoca d’oro dei grandi registi italiani e delle dive hollywoodiane degli anni ’50 e ’60, adesso si perdono tra i palazzi delle nostre città. Invisibili, vivi solo nella memoria. Come fantasmi.
«I cinema che chiudono sono spettri, che muoiono ma la loro assenza si amplificano con il tempo», spiega Giuseppe, interrogato sul perché della scelta del nome del suo documentario. Come, secondo il giovano regista, lo è anche la stessa arte cinematografica, «che muore non appena la fai, ma è perpetua, come uno spettro che ritorna sempre». Per rispondere alla sua necessità di comprendere quella che definisce una «decadenza trainante attraverso le decadi», ha deciso di portare sullo schermo l’esempio di Floridia. Dove, i tre cinema storici – Marconi, Flora ed Archimede – hanno chiuso i battenti. Un lavoro, il suo, totalmente autoprodotto, low-budget, realizzato con il patrocinio del Comune della cittadina aretusea e presentato anche ad alcuni festival, tra cui quello floridiano. Che, in 25 minuti, racconta, tramite le riprese girate dentro di due di queste sale, «il vuoto che questi lughi hanno adesso all’interno». Una «caccia la cinema, che per me è stata molto faticosa», confessa.
«Il film è un lavoro realizzato a quattro mani in cui tentiamo di dare una risposta a questo perché». Ragione fatta di gap generazionali e mutamento socio-culturale del pubblico. «Non esiste più la fruizione del cinema, che adesso è considerato solo intrattenimento», si rammarica Giuseppe. Secondo lui, ai suoi coetanei, cresciuti davanti alla televisione, manca una concezione della serata davati al grande schermo come momento speciale. «I giovani fruiscono il cinema come un jolly, una cosa che si può fare come no, come un locale in cui andare a bere qualcosa o una cena in pizzeria. Un jolly che però, così, ha una gamba spezzata». Come a mancare è chi cerca «un certo tipo di pellicola, legata all’era d’oro del cinema d’autore». «Ormai – sottolinea – nessuno scommette più su certe proiezioni. E non perché, ad esempio, la gente non conosca Fellini, ma perché quello che viene proposto oggi non cattura più l’attenzione. I canoni sono diversi, legati ad una società veloce, meccanizzata, con altri tempi e altri ritmi rispetto a quelli di 40 anni fa. Per i ragazzi di quell’epoca era diverso. E l’amarcord non basta più».
«E’ come se ci trovassimo in un’era post atomica», afferma il giovane autore, riferendosi al deserto cinematografico della sua città, Siracusa, in cui «non esistoni cineclub e, a parte il cinema Aurora – l’unico che propone un tipo di spettacoli più di nicchia – chi vuole godersi un film può contare solo sui mostri multisala». Situazione più o meno simile in tutta Italia, e che «mi fa stare male», spiega. Per questo ha deciso di raccontare della chiusura della sale.
Perché per lui, il cinema, non è solo intrattenimento e passione, ma è sopratutto sacrificio. «Non potendo permettermi di studiare, ho cominciato a leggere a vedere di tutto. In me è nato qualcosa che sento e che va oltre al quotidiano, un sentimento multiforme. Una cosa che mi ha dato tanto, mi ha regalato scosse, mi ha spinto a migliorare ma mi ha anche spezzato le ossa». Trasformando il suo amore per la settima arte in un tentativo di mestiere. «Il mio primo lavoro, un cortometraggio in analogico dal titolo Repugnanze, l’ho realizzato a 18 anni – racconta – quando ho deciso che non potevo più rimandare e mi sono messo in gioco». «Da quattro anni – continua a raccontare – scrivo e cerco produttori per i miei lavori. Ma anche se ho ricevuto molti no, non mi fermo, provo in continuazione. Devi sempre tenere conto che puoi fallire».
Nonostante le difficoltà, Giuseppe la sua passione non la abbandona. Sceneggiatura e regia, per lui, sono un obiettivo da raggiungere, ma anche un «antidoto all’alienazione a cui costringe una terra come la nostra, in cui spesso ti senti sofficato. In Sicilia, devi alzarti al mattino con la voglia di fare qualcosa. Senza questa forza di volontà, si muore».
[Foto di Fiore S. Barbato]